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di Vittorio Roidi
Si discute di libertà di stampa. Non sarà mai troppa e quindi più se ne parla, meglio è. L’importante è che nessuno la voglia limitare, con leggi, con i decreti bulgari o con le intimidazioni. La censura è stata cancellata dalla Costituzione e bisogna stare attenti che non torni mai più, perché qualcuno a cui dà fastidio un articolo o un’intervista si trova spesso. Dunque, nessun questurino o pubblico ministero può impedire a un giornalista televisivo di usare la telecamera per riprendere un giudice: mentre va ai giardinetti o dal barbiere, per scrutare cosa fa e che vestito porta. Chissà. Vuoi mettere, un’inchiestina. sull’acconciatura dei magistrati, sui jeans o sui calzini che indossano! Il giornalismo è fatto di tante cose.
Però, se quel giudice – guarda caso – è proprio quello che ha conteggiato in 750 milioni di euro il risarcimento civile che la Fininvest della famiglia Berlusconi deve pagare alla Cir di De Benedetti, allora il cittadino-spettatore di quel servizio tv qualche domanda deve porsela: che notizia è? Che mi vuole far sapere quel giornalista? Perché proprio quel giudice? E se la televisione che manda in onda quel servizio è di proprietà della famiglia Berlusconi l’attenzione del cittadino deve raddoppiare. Libertà, autonomia di quel giornalista, ma per dare informazioni ai cittadini, o per infastidire un giudice scomodo?
La libertà di stampa, dice una legge, la 675 del 1996, può essere usata per invadere la vita privata delle persone solo a certe condizioni. Il giornalista ha il diritto di fare il proprio mestiere – pubblicando anche dati “sensibili” del protagonista di un fatto di cronaca - quando l’informazione è di “interesse pubblico” e se quel particolare è “essenziale” alla comprensibilità della notizia.
Non so chi il giornalista di cui stiamo parlando e non mi interessa. Ha fatto il proprio mestiere utilizzando la propria libertà, ma ne ha fatto un uso pessimo, perché il colore dei calzini e il taglio dei capelli di quel magistrato non interessano nessuno. Dunque: rischia una bacchettata dal Garante della privacy. Ma anche dal suo direttore, se almeno questo sa e vuole fare il giornalista.
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