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Articolo 21 - Editoriali
La gogna mediatica sul giudice Mesiano. Italiani spiati come faceva la Stasi tedesca nel film “Le vite degli altri”?
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di Gianni Rossi

Siamo ormai tutti “spiabili” da decine di migliaia di occhi e orecchi indiscreti di “Grandi fratelli”. La privacy viene rispettata solo per i potenti e viene negata per la gente comune. Assistiamo inermi, senza concrete difese, al tentativo di abbattere lo stato di diritto liberale, che i padri fondatori della Repubblica eressero con la Carta Costituzionale oltre 60 anni fa. Ritornano gli incubi e le tecniche di persecuzione di massa che furono alla base di regimi autoritari come il nazifascismo e il comunismo sovietico, fino alla sua moderna evoluzione della Stasi, il servizio segreto della ex-Repubblica democratica tedesca.
Il giudice Raimondo Mesiano, autore della sentenza del Tribunale civile che intima alla Fininvest del Presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, di versare 750 milioni di euro alla CIR dell’ingegner Carlo De Benedetti, come conseguenza dei danni ricevuti nell’intricato “Lodo Mondadori”, è stato seguito da una troupe di Mediaset, per le strade di Milano, mentre fumava, si recava dal barbiere e poi si sedeva su una panchina, prima di riprendere la sua passeggiata. Il reportage televisivo, presentato dal conduttore del programma “Mattino 5”, Claudio Brachino, direttore di Videonews (testata giornalistica che realizza rubriche e programmi per i 3 canali Mediaset) ha definito Mesiano come un giudice appena promosso “con elogi sperticati dal CSM e aumenti di stipendio”, del quale “non si ricordano sentenze, ma stravaganze in giro per Milano e proclami contro il premier al ristorante”.
Quindi, si passa al filmato di circa 4 minuti, realizzato da Annalisa Spinoso,  che ricorda come “alle sue stravaganze siamo abituati”, senza però documentare quali siano questi suoi strani comportamenti. E poi, nel seguirlo per le vie di Milano, ecco che viene definito “impaziente…non riesce a stare fermo…fuma…va avanti e indietro…ecco l’ennesima sigaretta della mattina, come fosse uno spot all’incontrario”. Per terminare l’esclusivo scoop sul chi è e cosa fa il giudice Mesiano con “ci regala un’altra stranezza seduto sulla panchina: camicia, pantalone blu, mocassino bianco e calzino turchese, di quelli che in tribunale non è proprio il caso di indossare”. Chiosa finale del conduttore in studio, Brachino: “tra una stravaganza e la promozione c’è qualcosa che non funziona”.
Dove stanno l’interesse generale, la specificità giornalistica, il diritto di cronaca in questo servizio televisivo? L’unica notizia è l’immagine del giudice, sconosciuto al grande pubblico. Per il resto, si è ordita una “gogna mediatica”, con l’uso sapiente e ambiguo di un testo che nulla aggiunge alla conoscenza, ma molto aggiunge al clima di “disinformatia” che sta avvelenando il sistema informativo italiano. Mesiano viene così tratteggiato come un tipo “strano, stravagante” e, in definitiva poco attendibile, sciatto, professionalmente inidoneo al ruolo che ricopre. Uno, insomma, di cui non fidarsi, da cui aspettarsi chissà quali azioni sconclusionate. Il magistrato è avvertito. Il pubblico filo-governativo può sdegnarsi e accusare l’ennesima “toga rossa” di lesa maestà nei confronti del “Caudillo” di Arcore.
Ma soprattutto, di fronte all’inconsistenza giornalistica, si fa strada la consapevolezza per il grande pubblico che ognuno di noi, magari solo per le sue idee o i suoi comportamenti non in sintonia con le opinioni di Berlusconi e delle sue agguerrite truppe, potrà in qualsiasi momento essere ripreso e gettato nella “gogna mediatica”, appena se ne offra l’occasione. Chi non ha qualche piccolo “cadavere nascosto nell’armadio”, qualche segretuccio inconfessabile in famiglia, sul lavoro? Vizi privati e pubbliche virtù che potrebbero essere “svergognati” da un momento all’altro sulla pubblica piazza mediatica, come in un reality show. Una cupa atmosfera di paura e di timor panico si sparge per tutta la penisola.
Siamo ormai vittime inconsapevoli di una ragnatela di controlli filmati e intercettazioni come i milioni di tedeschi della DDR, quando operava il famigerato e ramificato servizio segreto STASI, periodo tragico, magnificamente ricreato nel film “Le vite degli altri” (2006, scritto e diretto da Florian Henckel von Donnersmarck, vincitore nel 2007 dei premi Oscar e David di Donatello, nel 2008 del francese Cèsar, sempre come miglior film straniero). Una storia avvincente, un dramma sconvolgente, che ricrea sapientemente l’angosciosa esistenza nella Berlino EST, proprio cinque anni prima della caduta del muro (1989),  da parte della gente comune, con una vita abitudinaria stravolta per chi si trovava sotto il “tallone d’acciaio” del regime comunista tedesco-sovietico. Tutti coloro che avevano qualche dubbio sul regime di allora e lo avevano in qualche modo esternato erano controllati ed intercettati da qualche milione di zelanti tedeschi fedeli, trasformati in delatori.
Ora, noi stiamo vivendo gli stessi condizionamenti! In prima fila i giornalisti e i magistrati, ma anche gli intellettuali “scomodi”, gli artisti e, perché no, anche tutti coloro che appartengono alle “forze sociali”, sindacalisti e imprenditori non “in riga”.
Dove sono finiti, infatti, i milioni di dossier illegali, frutto di intercettazioni e riprese filmate ad opera del servizio segreto privato che lavorava per conto di Telecom dal 1997 fino al 2006 (l’affaire Giuliano Tavaroli-Emanuele Cipriani  scoppiato nel settembre 2006 ), in combutta con i servizi segreti di stato? Dovevano essere distrutti, certo, ma quante copie su dischetti sono state fatte? E la rete operativa, il sistema che navigava sui provider internet, chi può assicurarci che sia stata smantellata? Tavaroli ad inizio ottobre ha patteggiato con la Procura di Milano per una pena di 4 anni e sei mesi più il pagamento di 70 mila euro. E’ di nuovo in circolazione! Marco Mancini, ex-capo del controspionaggio Sismi, anche lui coinvolto nello scandalo, ha chiesto al governo Berlusconi di apporre il segreto di stato, prima che inizi il processo vero e proprio nel 2010.
Dati sensibili, segreti bancari, amicizie, contatti, email confidenziali, vizi privati, passati al setaccio e archiviati chissà dove e custodi da chissà chi!
E in una battaglia politica senza esclusione di colpi, come quella che stiamo vivendo, tutto questo materiale potrebbe risultare utile per condizionare gli oppositori (vedi il caso Boffo, l’ex-direttore di Avvenire!), per comprimere la libertà di stampa, inducendo i giornalisti e i loro editori all’autocensura, o quanto meno al non schierarsi contro chi governa, a non fare domande ritenute inopportune. O ancora a perdere la memoria storica o di cronaca politica, come la recente bufala mediatica sul debito pubblico dello stato, passato dal 70% agli inizi del 1980 al 120% nel 1992, durante tutto il periodo craxiano, che secondo invece Berlusconi andrebbe imputato ai “governi del compromesso storico” (peccato che a governare erano i suoi amici del CAF, Craxi, appunto, Andreotti e Forlani, con DC, PSI, PLI e PRI). Ma nessun giornalista a contraddirlo o a ripristinare la verità dei fatti storici!
In questo grave conflitto tra i poteri e i contropoteri dello stato (il governo Berlusconi, la magistratura, la Corte Costituzionale, il Presidente della Repubblica Napolitano, la carta stampata, la RAI e Mediaset), brilla l’assenza di alcuni organi di garanzia quali le autorità che regolano e controllano sia le attività di Borsa (Consob), sia la corretta attuazione delle regole di mercato (Antitrust), sia l’uso dei media e delle telecomunicazioni (Agicom). Come se i tanti conflitti di interessi fossero un raffreddore stagionale da curare con l’aspirina e non un virus letale da estirpare con terapie intensive (come per altro ci chiedono i più autorevoli media internazionali e auspicano le cancellerie dei paesi del G20, preoccupati sempre più del possibile contagio).
A farne le spese saranno milioni di cittadini onesti e sinceramente democratici, quelli che pagano le tasse e “tirano a campare” alla meno peggio, che potrebbero essere “svergognati” pubblicamente per i loro comportamenti spiati e intercettati. Ma a subirne un colpo mortale potrebbe essere anche il pluralismo informativo, se da sinistra e da destra (sì anche da quella parte di destra ancora legata ai princìpi democratici e costituzionali!) non si metterà un argine al progetto di destabilizzazione produttiva e finanziaria della RAI.
Non si tratta tanto di incitare a  non pagare il canone (il più basso d’Europa), di prevedere sarcasticamente un’evasione del 50% dagli abbonati; quanto di creare un clima di delegittimazione del servizio pubblico e di quanti vi lavorano, di ridurre gli spazi di investimento e innovazione, di spingerlo verso una deriva commerciale di bassa qualità, di scollegare il circuito virtuoso tra la realtà dei fatti che avvengono nel paese e la sua rappresentazione, per comunicare all’opinione pubblica invece una visione della realtà “immaginaria”, “edulcorata”, fuori dal contesto e, appunto, senza memoria.
Ma la memoria è la condizione fondamentale per costruire il futuro, per non ripetere gli errori e subire gli orrori del passato.

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