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Articolo 21 - Editoriali
Malata di SLA rifiuta le terapie: non si ceda alla violenza di Stato
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di Simone Luciani

Sembra un film visto già diverse volte. Speriamo (perché così spera la protagonista) che sia più breve e accompagnato da un dibattito meno macabro rispetto agli altri. Lei ha 60 anni, e una brutta malattia, che si chiama Sclerosi Laterale Amiotrofica. Una malattia che, come noto, distrugge in modo irreversibile il sistema nervoso. La donna, che è ricoverata all’ospedale Perrino di Brindisi, avrebbe bisogno della tracheotomia per la respirazione artificiale. Un trattamento che le salverebbe la vita (ma non fermerebbe la malattia, a oggi implacabile), ma che l’accompagnerebbe per il resto della vita. Lei ha detto no: morire piuttosto che vivere attaccata a una macchina. Sarebbe una ulteriore tortura, nella sua concezione di vita, dopo 15 anni trascorsi a letto. E la famiglia è pronta a sostenerla nella sua battaglia.
A quel che si apprende, i magistrati starebbero disponendo la perizia psichiatrica. Che, se fatta seriamente, non potrebbe che dare un risultato: e cioè che la signora è perfettamente in grado di intendere e di volere, e dunque di comprendere e usare lo strumento del consenso informato. Perché la sclerosi laterale amiotrofica uccide facendoti sapere che ti sta uccidendo: massacra il corpo ma lascia intatto il cervello. Diverso il discorso, invece, se si sta cercando una scorciatoia per dire che la signora ‘è pazza’ (ma la legge garantisce anche ai ‘pazzi’ la libertà di autodeterminarsi): in tal caso saremmo di fronte a un tentativo dello Stato (è il caso di usare questo termine) di invadere il corpo di un privato cittadino. Una vera e propria, intollerabile violenza di Stato, che non avrebbe nessun tipo di presupposto etico o giuridico, come ci raccontano le storie di Luca Coscioni, di Piergiorgio Welby, di Eluana Englaro. Tra queste storie, ce n’è una che si tenta di dimenticare: quella di Giovanni Nuvoli. Quella di un cittadino italiano, anch’egli malato di SLA, che chiese per mesi che gli fosse staccato il respiratore artificiale: il giorno in cui un medico si presentò a casa per farlo, trovò i carabinieri ad attenderlo. Non lo fecero neanche avvicinare al letto di Giovanni, quasi temessero che strappasse via macchine e tubi in un raptus di follia. Stanco di queste assurdità, Nuvoli decise di morire rifiutando di assumere nutrimenti. Forse è per questo che la storia di Giovanni Nuvoli si vuole dimenticarla: perché sta lì a ricordarci che lo Stato, quando vuole, sa coprirsi di ridicolo.
Di fronte a questa nuova storia che viene da Brindisi non si ceda ad arretramenti, e non si sia tentati dal nuovo circuito della violenza di Stato. Si mostri, invece, che siamo in grado di muovere passi avanti, e che non vogliamo più costringere i cittadini che vogliono solo essere rispettati a stremanti battaglie culturali, giuridiche, umane.
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