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Articolo 21 - Editoriali
Il governo e l’uso politico della paura
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di Valter Vecellio

Una decina di giorni fa i ministri dell’Interno Maroni e degli Esteri Frattini, ma anche tanti altri esponenti di centro-destra, esultarono dopo gli arresti disposti dalla Digos di Brescia: confermavano, dissero, che le attività terroristiche in Italia non si dedicavano più solo proselitismo, ma risultavano impegnate in attività operative vere e proprie: “Dimostrano l’esistenza di una minaccia concreta, seria che viene fronteggiata benissimo, sforzi che hanno consentito ancora una volta un gran colpo di successo”.
Il gran colpo di successo consisteva nell’arrestato due pakistani, padre e figlio, titolari di un’agenzia di trasferimento di denaro, la “Madina Trading”. Secondo l’accusa i due erano coinvolti nell’organizzazione della strage di Mumbai in India del novembre 2008, con la loro agenzia, e attraverso transazioni clandestine, finanziavano le attività terroristiche.
I due però non dovevano essere una minaccia molto seria, e l’operazione che li ha portati in carcere non sembra sia un gran colpo di successo. Perché i giudici del riesame di Brescia li hanno scarcerati annullando l’ordine di arresto. O si è preso un clamoroso abbaglio prima, o ha adottato una decisione sbagliata ieri il tribunale del riesame. Non se ne scappa.
Non è la prima volta, e bisognerebbe farne un catalogo. C’è stato il caso di alcuni tunisini, dei poveracci che pescavano al largo di Ostia; li si arrestò sostenendo che detenevano esplosivo per attentati; dopo qualche settimana furono scarcerati, dell’esplosivo nessuna traccia; un’altra volta si ipotizzò che dei malcapitati volevano inquinare l’acquedotto di Roma, nel mirino nientemeno che l’ambasciata americana; e chissà quante tonnellate di veleno dovevano avere, per poter inquinare l’acquedotto, una sciocchezza sesquipedale, ma venne presa sul serio. Poi svanì, come il veleno, che non si trovò mai. Si parlò anche di attentati a Bologna, alla cattedrale di San Petronio. Ci furono arresti. Il terrorista si rivelò poi solo uno sfortunato studioso d’arte.
Insipienza di chi conduce questo tipo di operazioni? Forse. Ma si può anche sospettare che tutto ciò risponda a una logica, che si può definire: “Il governo della paura”. Fino a poco tempo fa – esistono documentate ricerche indipendenti al riguardo – i notiziari televisivi pubblici e privati – erano infarciti di una quantità di notizie relative a fatti di violenza e di sopraffazione; quasi che in questo paese non si facesse altro che uccidere, rapinare, stuprare, massacrare di botte. C’è chi, cavalcando queste campagne, e facendo leva su legittime paure, ha vinto le elezioni. E’ quello che il professor Jonathan Simon chiama “Il governo della paura”: l’uso politico della paura che consente di ridefinire i poteri del governo, il ruolo della famiglia, della scuola, la posizione dell’individuo nella società; e si giustifica una politica di legge e ordine.
A ulteriore conferma: le agenzie hanno diffuso una nota allarmata del vice-sindaco di Milano Riccardo De Corato: “Fuori dalle scuole si spaccia con grande facilità. In seguito a un’informativa degli operatori dell’associazione poliziotti italiani, sono stati rafforzati i controlli e le ispezioni a sorpresa effettuati in abiti civili dalla polizia locale al di fuori di una decina di istituti scolastici dove è stato segnalato l’uso di sostanze stupefacenti”. Il risultato della brillante operazione? Nove sanzioni a studenti sorpresi a fumare hashish. Proprio così: in una settimana, hanno scoperto nove ragazzi che fumavano spinelli, e li hanno multati.
Questa la situazione, questi i fatti. 

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