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Articolo 21 - Editoriali
Sandro Pertini, un politico contrario alla personalizzazione della politica
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di Nicola Tranfaglia

A vent’anni dalla scomparsa, la personalità di Sandro Pertini, settimo presidente della nostra repubblica, suscita rimpianto e nostalgia tra chi lo ha visto e conosciuto ma anche tra giovani che non trovano nei politici contemporanei simboli adeguati.
L’esperienza di Pertini si è svolta negli anni delle guerre mondiali, della dominazione fascista, della resistenza e della costruzione repubblicana.
Ligure di Stella San Giovanni, vicino Savona, era nato ancora nel secolo diciannovesimo, nel 1896, e aveva partecipato alla prima guerra mondiale uscendovene con una medaglia d’argento.
Al movimento fascista si era subito opposto e a metà degli anni venti era incorso subito nel confino e nel carcere. Aveva collaborato all’espatrio di Turati e poi era andato in esilio in Francia per sfuggire alla condanna.
Tornato in Italia clandestinamente nel 1929 viene arrestato e condannato dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato.
Soltanto nell’estate  1943, con la dissoluzione del regime,viene liberato e partecipa alla lotta partigiana a Roma e poi in Toscana, Lombardia e Val d’Aosta.
Per il socialista Pertini, l’esperienza dell’antifascismo e della resistenza, del carcere e della guerra partigiana sono momenti fondamentali che egli porta nella sua vita politica repubblicana e che ne fanno un uomo amato assai al di là del suo partito ma non da tutti proprio in quel partito.
Pertini diceva spesso di avere un cattivo carattere ma questo significava, con tutta evidenza, che era un uomo fedele ai principi di fondo della sua esperienza politica e non era disposto a seguire l’opportunità dettata da motivi contingenti. In particolare l’uomo politico ligure era molto sensibile all’unità della sinistra che era stata fondamentale negli anni della resistenza. Era contrario alla personalizzazione della politica di cui  proprio Bettino Craxi rappresentava, negli anni settanta e ottanta, una delle più chiare incarnazioni.
Sicchè venne eletto nel 1968 presidente della Camera sull’onda delle speranze che nacquero quell’anno nell’Occidente e in Europa e, dieci anni dopo, in un anno terribile per la storia repubblicana, in cui impazzava il terrorismo e Aldo Moro veniva rapito e ucciso, apparve come la sola figura della sinistra che potesse succedere a Leone, costretto alle dimissioni, e assumere  la più alta carica della repubblica.
Presidente della Repubblica nei sette anni in cui il centro-sinistra ebbe prima con Spadolini, poi con Craxi, il governo del paese, Pertini seppe rappresentare la storia e l’unità della repubblica antifascista e democratica e acquistò una straordinaria popolarità a tutti i livelli, con i bambini, le donne, i combattenti trasformando il Quirinale, in cui peraltro non abitava, come una vetrina della repubblica per quelli che di solito non erano stati ammessi in quella sede ufficiale.
In questo senso si può dire oggi che lo strenuo combattente di Stella era diventato una figura paterna e beneaugurante che, in un momento nel quale la televisione era diventata lo strumento più importante della comunicazione, rappresentava il punto di riferimento per una larga opinione pubblica che si identificava con il patrimonio fondamentale della repubblica.  

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