di Gian Mario Gillio*
Sono cresciuto a pane e Mina. Ricordo viaggi in auto con mio padre e mia madre che cantavano all’unisono e a squarcia gola le sue canzoni. Ero piccolo e insieme ai miei fratelli la cosa ci divertiva. Non solo, la televisione era anche il luogo che la vedeva conduttrice, cantante, spesso anche intenta ad eseguire sketch esilaranti con partner di ogni sorta, da artisti a cantanti a comici. Un’artista a tutto tondo! Osservavo la sua immagine impressa su vinili e musicassette e, con il passare del tempo, anche sui cd, era bellissima, solare, un po’ femme fatale e per me anche un po’ mamma, che per qualcosa le assomigliava. Insomma: Mina ha accompagnato la mia vita. Qualcuno oggi alla radio nel ricordarla diceva (e a ragione): «Mina è stata nel bene e nel male la colonna sonora della mia intera esistenza». Devo dire che anch’io mi sono ritrovato in questa affermazione. Oggi l’artista, la donna, la giornalista, con i suoi fondi su La Stampa, compie settant’anni ed è con l’affetto e la dovuta stima che molti quotidiani, giornali, programmi televisivi e radiofonici omaggiano la voce nazionale, una voce che ha saputo rendere internazionale ogni sua esecuzione canora. Il ricordo mi porta ad un personale approccio con Mina, solo mio tuttavia: all’età di diciotto anni, giovane musicista alle prime armi, un po’ come tutti, ho spedito in Svizzera a Lugano, dove lei tuttora risiede, una registrazione di un mio brano che avrei tanto voluto farle ascoltare e, devo ammettere, con la speranza remota, un giorno, di sentirlo cantare proprio da lei. Conservo ancora la ricevuta di ritorno firmata Mina Mazzini. Non è successo, pazienza, riascoltando il brano con la consapevolezza di oggi, da adulto, ne comprendo le ragioni. La scelta di Mina di togliersi dalla scena mediatica è stata importante, lasciare il jet set e continuare la carriera solo con la sua arte è stata una scelta coraggiosa, secondo alcuni; non secondo altri, ma comunque una lodevole scelta: certamente in controtendenza con la realtà di oggi. Questa decisione è stata premiata dal successo, disco dopo disco, grazie alla continua evoluzione e ricerca che l’artista ha saputo dimostrare, cimentandosi con diversi generi musicali, attraversando i rivoli del jazz, interpretando le più popolari hit straniere, ma anche «sfidando» le complessità della canzone popolare napoletana e ottenendo anche in questo caso successo e gradimento di pubblico. «Mina è stata apprezzata dal difficile e attento pubblico partenopeo», ricorda l’artista Tullio De Piscopo; e la cosa non era affatto scontata. Chi tuttora la frequenta e ci lavora, musicisti, tecnici, autori (con l’invidia di molti, ormai incuriositi dal personaggio che irradia un’aura quasi misteriosa) ne esalta le doti professionali, umane e ne ricorda anche la puntigliosità d’artista, a riprova della sua serietà e di immenso rispetto che ha per il suo pubblico. Una sola, piccola, pecca gli viene riconosciuta, quella che possiamo definire del: «buona la prima». Spesso, Mina, decide di incidere su disco la sua prima versione dei brani, l’intensità che la prima registrazione riesce ad esprimere è per Mina la migliore, sempre. Come darle torto. Cara Mina, il nostro vuole essere solo un biglietto d’auguri, anche questo buono alla prima. Tanti auguri! Da Articolo 21 e da Confronti.
*direttore di Confronti