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Articolo 21 - Editoriali
Lazio-Inter: dal calcio al wrestling (di trent'anni fa)
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di Simone Luciani

La parola “keyfabe” dirà poco a molti e molto a pochi. Questi ultimi sono gli appassionati di wrestling. Ovvero, di quella forma di “intrattenimento” considerata, dalla quasi totalità degli italiani, una buffonata sesquipedale. Ed è un giudizio inevitabile, soprattutto se ci si ferma a guardare 5 minuti di match nel quale due tizi enormi fingono di massacrarsi e, al termine della farsa, uno vince e l’altro perde.
Eppure si tratta di uno spettacolo nobile, di origine circense. Fase che terminò quasi subito. Arrivò presto qualcuno che si rese conto di quale indefinibile valanga di soldi avrebbe prodotto l’idea di, anziché far picchiare due persone fino allo sfinimento, preordinare tutto. Cui seguirono altre idee. Perché non condire gli incontri con delle robuste storie d’amore, d’amicizia, d’inimicizia, di faide, di vendette? Eccoci ai giorni nostri. Giorni nei quali la “keyfabe”, ovvero l’insistere da parte degli organizzatori sul fatto che, contro ogni intelligenza, si tratterebbe di uno sport e non di uno spettacolo, è definitivamente caduta: dunque, cade la necessità di credere che i due tizi enormi stiano disputando un match di qualsivoglia sport, ma anche di credere che la storia d’amore con la belloccia in abiti succinti sia vera, o sia vera la lite col capo della federazione che si accanisce contro il malcapitato di turno, che subisce arbitraggi inqualificabili o sgarbi di ogni genere dai suoi colleghi più viscidi e ossequiosi. Per scrivere le storie del wrestling sono stati chiamati sceneggiatori da Hollywood, e i wrestlers devono acquisire sempre più qualità attoriali oltre che atletiche.
Fin qui l’ampio preambolo. Svolgimento. Cosa è stato Lazio-Inter? Non sto parlando solo del campo (l’aspetto peggiore, poiché vorrebbe De Coubertin, e prima di lui un vescovo della Pennsylvania cui si deve il detto, che l’importante non è vincere ma partecipare, e dunque che almeno si partecipi). Non sto parlando neanche del pubblico (il quale tifa chi vuole, e poi si prende le conseguenze sul piano della “riprovazione” sociale e delle critiche degli opinion makers). Si parla del contorno. Di come la sfida è stata preparata, e si pensi solo all’indignazione del presidente della Lazio Claudio Lotito al solo sentir parlare di “giocare per perdere” (“Qualcuno sta montando strumentalmente un'azione nei confronti della Lazio per caricarla di responsabilità che non ha, perché la Lazio ha sempre giocato nel rispetto dei ruoli e dei valori dello sport”, ha detto piegando, come di consueto, la sintassi alle proprie esigenze). O si pensi ad alcune telecronache (non tutte), impegnate a sottolineare le falle nella difesa della Lazio, gli spunti di Eto’o quelli di Sneijder. O si pensi, ancora, ad alcuni talk show (non tutti) incentrati sull’argomento della straordinaria forza dell’Inter, che nonostante la vittoria in Champions non si lascia distrarre negli impegni minori. E che dire del povero allenatore in seconda della Lazio, mandato a rispondere alle domande dei giornalisti su questa o quella mossa tattica. O del dirigente interista Marco Branca, che sfoggia il suo bel soddisfatto sorriso, come se davvero si fosse vinta una partita o si fosse superato un ostacolo.
Hanno parte in causa, in questa messa in scena, anche gli editoriali tesi a trovare questa o quella risposta sociologica. Di chi cerca di ridurre il tutto alla rivalità fra le tifoserie della Roma e della Lazio, neanche fossimo in una commedia all’italiana. Di chi parla dei pollici versi del Totti post-derby come causa scatenante del fatto che un mucchio di professionisti assai ben pagati scenda in campo per non fare il proprio dovere. Di chi, addirittura, sbandiera un “caso-Roma”, che avrebbe delle diversità cittadine (non si capisce quali) col resto d’Italia. O chi, per finire, ricorda che in ogni finale di campionato regnano i “biscotti”. Vero. Il povero Zeman seguì una partita del suo Lecce dietro alla panchina, per protesta contro il pareggio concordato. “Non è calcio ma mi adeguo”, disse. E allora? Due porcate non ne assolvono una terza. E non manca una differenza: un conto è concordare il pareggio perché entrambe le squadre raggiungano il proprio obiettivo, un altro è scendere in campo per perdere. Si è scavallato.
Quanto all’Inter, regna incontrastato il teorema “e loro che c’entrano”. Teorema condivisibile al 95%. Quello è l’avversario, e contro di lui ti tocca giocare. C’è però un 5% di trasparenza sulla parte interpretata dai nerazzurri, che farebbe bene Mourinho (che ultimamente non risponde alle domande dei giornalisti, intento com’è a interpretare il ruolo di vittima dell’universo-mondo) a garantirci. Una domanda, e magari una risposta: per quale inimmaginabile motivo l’Inter non ha vinto una partita del genere, se partita è stata, 16-0?
Come detto, la keyfabe è stata eliminata dal mondo del wrestling negli anni ’90. “Non possiamo continuare a insultare l’intelligenza degli spettatori”, dichiarò il presidente della maggiore federazione. Bé, in Italia ferve il lavoro per portare il campionato di serie A al livello del wrestling degli anni ’80.
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