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Articolo 21 - Editoriali
Manovra economica, intercettazioni: quando l’informazione si confonde con la propaganda
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di Ottavio Olita

“Non abbiamo messo le mani in tasca agli italiani!”, è uno degli slogan della manovra economica aggiuntiva, sempre negata fino a poche settimane fa, e poi calata come una ghigliottina sui soliti, tartassatissimi contribuenti. Tanti titoloni dedicati a ripetere l’efficace slogan del Grande Imbonitore, pochi articoli volti a spiegare che quel denaro aggiuntivo non versato con nuove tasse, i cittadini dovranno poi sborsarlo per le spese mediche, i servizi, i pedaggi autostradali. “I dipendenti della pubblica amministrazione – chiamati a pagare il prezzo più alto della manovra, ndr – hanno avuto negli ultimi anni miglioramenti retributivi pari al 42 per cento, contro il 24 per cento di quanti lavorano nel settore privato”. Giornali e tv ripetono; pochi raccontano che gli stipendi, ad esempio, degli insegnanti, sono tra i più bassi d’Europa. Ultimo esempio: tanti, diciamo distratti, non si sono accorti dei distinguo della Marcegaglia da Berlusconi, del suo rifiuto dell’abbraccio, del gelo degli industriali alla proposta di fare del Presidente di Confindustria l’ennesimo ministro di questo governo dei valzer continui? La domanda, necessaria, che si pone subito dopo è: lavorare così è fare informazione o propaganda?
 La grande differenza tra Berlusconi e il suo più volte citato modello – a sproposito e in modo cabarettistico – Benito Mussolini, è che Silvio non ha proprio bisogno di un Ministero della Cultura Popolare per disporre e inviare veline informative. E la propaganda non è data solo da titoli falsi, reticenti, bugiardi; la propaganda, forse la più efficace, è contenuta nei modelli di vita, di comportamento, di rapporti sociali raccontati e diffusi capillarmente dalle sue televisioni.
 In questi giorni – ancora -, utilizzando ancora una volta uno slogan – “la tutela della privacy” – si cerca di banalizzare, di ridurre a “pro” e “contro”, la discussione su un tema delicatissimo per la democrazia come la tutela dei cittadini onesti contro chi delinque ai loro danni. Ancora una volta la propaganda contro la conoscenza. Che vuol dire conoscenza? Ad esempio l’analisi dell’articolato del DdL 1611, che dispone le nuove norme sulle intercettazioni, quella che a buon diritto viene chiamata la “Legge Bavaglio”. L’ha proposta con profondità, competenza, attenzione un magistrato cagliaritano, il dottor Mario Marchetti, in un’iniziativa organizzata da Articolo 21 e dal “Comitato Nadia Spano-Gallico per la difesa della Costituzione”. Ha dimostrato, analizzando gli articoli più controversi del provvedimento ministeriale, non solo il loro contrasto con tante parti del Codice di Procedura Penale, e i loro limiti di Costituzionalità, ma anche e soprattutto le contraddizioni interne. Dalla relazione del magistrato è parso evidente, senza ricorrere a deduzioni teorico-politiche,  che dietro la cosiddetta “tutela della privacy” si nasconde il vero interesse governativo che è quello non solo di non far pubblicare notizie non gradite al potere, ma ancor di più di mettere la magistratura nelle condizioni di non nuocere. E allora il nuovo slogan sarà “tutto va ben, madama la marchesa”, senza più notizie di grandi corruzioni, cricche volte all’interesse privato, imbrogli, truffe, imprenditori che si fanno grandi risate sulla disperazione dei terremotati, primari che si arricchiscono sulla pelle dei pazienti. La strada della spiegazione, dell’esame, dell’illustrazione della legge, in definitiva la strada della conoscenza, è l’unica che potrebbe sconfiggere la propaganda che, attraverso lo stesso DdL 1611, rischia di veicolare un’altra concezione dello Stato, una diversa filosofia rispetto al grande spirito collettivo, di socialità, che la Carta Costituzionale ha saputo disegnare e far realizzare nel nostro Paese. E’ l’idea che l’individuo deve essere più forte dello Stato. Ma quale individuo? Il cittadino onesto che non delinque, che non ha paura di essere intercettato, che non ha nulla da nascondere, o gli altri che sanno di avere tanti scheletri nell’armadio o quelli che non appena la legge diverrà operativa grideranno “liberi tutti” e daranno un’ulteriore accelerata alla vasta corruzione già diffusa nel Paese? Una libertà senza vincoli sociali. In cui ciascuno pensa a se stesso, in cui il più furbo è anche il più forte.
 E’ pensabile ritornare ad una logica da “Homo homini lupus” in pieno 21esimo secolo? L’idea di smantellare il sistema di tutele democratiche non ha bisogno di fasi declaratorie in cui venga annunciata la modifica della prima parte della Costituzione, visto che tutto ciò sta avvenendo nella pratica quotidiana. Gli attacchi progressivi al diritto al lavoro, al diritto allo studio, al diritto alla cittadinanza, alla solidarietà, alla sanità, all’informazione, all’accoglienza e alla tolleranza ripetuti senza tregua da questa maggioranza di Governo cosa stanno di fatto realizzando? E noi democratici, che strumenti abbiamo per farci capire in un Paese che in 16 anni di pensiero unico, di messaggi bombardati a ripetizione ha pian piano cambiato anche la comprensione e l’uso di parole come Libertà, Diritto, Uguaglianza, Partecipazione; che mette in dubbio non solo la celebrazione di ricorrenze come il 1° Maggio o il 25 Aprile, ma anche quella dell’Unità d’Italia: come se i francesi si dividessero, ad esempio, per una diversa analisi sul ruolo avuto da Giacobini e Girondini nella Rivoluzione Francese, chiedendo la cancellazione del 14 luglio; o gli americani degli stati meridionali degli Usa chiedessero una diversa celebrazione del 4 luglio o della fine della Guerra di Secessione. E’ ora di reagire e ricostruire. E’ ora di riprendere un linguaggio di rialfabetizzazione sui grandi valori della democrazia offuscati in quasi due decenni di populismo volgare e ignorante prodotto dalla demagogia vincente di chiacchieroni che nei fatti si dimostrano incapaci non solo di salvare posti di lavoro, ma anche di contrastare una crisi che è stata arginata solo dalla saggezza delle famiglie italiane che hanno salvato se stesse e i propri figli gestendo con semplicità da contabili le scarse risorse disponibili. E dove sono i programmi di crescita e sviluppo? Riprendiamo a parlare e a farci ascoltare, ma prima definiamo quale linguaggio usare per farci capire. Mettiamoci tutti insieme intorno ad un tavolo sapendo di aver a che fare con un avversario che dispone di una formidabile macchina di convincimento e poi ripartiamo dalle scuole, dalle università, dai luoghi di lavoro, da spazi nei quali organizzare incontri di riflessione. Cominciamo la ricostruzione opponendo la conoscenza alla propaganda. Non c’è bisogno di attendere il crollo dell’impero mediatico per renderci conto di quali macerie culturali ed economiche ha già prodotto.

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