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Articolo 21 - Editoriali
Smile, please! La Terra può attendere
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di Fernando Cancedda

Ci vuole il rigore. No, ci vuole la crescita. Bene, adotteremo il rigore che non danneggia la crescita.A parte l'impegno a dimezzare i deficit pubblici entro il 2013 (e “speriamo che non lo prendano troppo sul serio”, commenta l'economista francese Jean-Paul Fitoussi), neppure il G 20 di Toronto è riuscito a concordare un percorso comune per uscire dalla crisi. D'altronde l'interesse per questi vertici si limita ormai al bilancio più o meno drammatico delle manifestazioni di contorno. Per l'inviato di Repubblica, Federico Rampini, “il documento conclusivo, com'è consueto in queste cerimonie che 'mimano' un governo globale senza realizzarlo, contiene frasi buone per ogni uso”.
Peccato, perché tutti sappiamo che una crisi più che mai “globale”, anche per la varietà dei settori coinvolti (economia, finanza, energia, ambiente, movimenti migratori, forme di rappresentanza), non verrà mai risolta con provvedimenti soltanto locali. I governi adotteranno misure tampone e lasceranno inalterato l'attuale modello di sviluppo capitalistico, che è alla vera origine della crisi. L'adozione di misure congiunturali è inevitabile, ma la crisi strutturale continuerà a marcire, nell' attesa di una maturazione culturale e di una strategia riformatrice che non vediamo ancora all'orizzonte.
Eppure sono decenni che gli scienziati invitano a fare i conti con i limiti del pianeta e denunciano l'insostenibilità di una crescita senza fine della produzione di merci. Una crescita quantitativa, proposta e accettata come un dogma. Come se fosse possibile l' appropriazione e la trasformazione infinita di risorse limitate come quelle offerte da “Madre Terra”. Una crescita purchessia, che esige la moltiplicazione delle possibilità di profitto e tutto trasforma in merce, tanto che i signori della pubblicità non sanno più che inventarsi per indurre la gente a consumi superflui.
Ma così crescono i profitti di pochi e la fame di molti. Secondo dati delle Nazioni Unite, la popolazione che non accede al cibo è di quasi un miliardo di esseri umani, cioè di una persona su sei  che popolano la Terra. Metà della ricchezza del pianeta appartiene al due per cento della popolazione mondiale. Ogni giorno trentacinquemila bambini muoiono di fame.
I devoti di questa crescita non guidata dalla politica e affidata alla “libera iniziativa” si illudono che il capitalismo possa sopravvivere a lungo con l'esclusione sistematica di gran parte dell'umanità dai benefici che produce. Pensano che anche in un mondo globalizzato i poveri continueranno ad accontentarsi di raccogliere briciole sotto il tavolo del “ricco epulone”. Già non è più così. A quel tavolo hanno  cominciato a sedersi i più popolati tra i paesi sottosviluppati di ieri. Aspirano a condividere gli standard di consumo dei vecchi commensali, né possiamo chiedere solo a loro di farsi carico delle conseguenze disastrose per l'impatto ambientale. Servirebbero tre pianeti in più,  per ora non li abbiamo a disposizione.
 I politici, si sa, a cominciare da quelli di destra, a queste considerazioni si annoiano. L'orizzonte dei più difficilmente va oltre il turno elettorale seguente. Quanto ai politici di sinistra, di fronte a una crisi mondiale che fa strage di posti di lavoro, che altro potrebbero fare se non battersi perché vengano sostenuti gli investimenti, dunque i profitti, dunque il credito delle banche alla “crescita purchessia”?

Il caso di Pomigliano
Ora però anche nel centrosinistra si comincia a parlare di crescita sostenibile, che vuol dire selezionare gli investimenti, tenendo conto dell'interesse pubblico e dell' equilibrio ambientale, favorendo ad esempio l'edilizia pubblica piuttosto che quella privata, il trasporto pubblico anziché il trasporto privato, ecc. Più o meno il contrario di quello che il più delle volte si decide in Italia. Poi capita che a Pomigliano l'amministratore delegato della Fiat, Marchionne, dica che per trasferire la produzione della Panda dalla Polonia ed evitare i licenziamenti, gli operai dovranno aumentare i turni di lavoro, evitare di ammalarsi a carico dell'azienda, rinunciare al diritto di sciopero. Ciò a riprova che per un capitalista illuminato possono essere merce di scambio anche i diritti fondamentali.
Si può resistere al ricatto? E come no, per questo si fa il referendum. I lavoratori hanno diritto di scegliere tra l'occupazione e il licenziamento. Una scelta umiliante, che tuttavia qualche importante dirigente del sindacato o del PD così commenta: “il modello Fiat va bene anche se non esportabile”. Un economista serio come Luciano Gallino ci fa capire invece che avverrà esattamente il contrario. Su Repubblica scrive: “ Le aspre condizioni di lavoro che la Fiat intende introdurre a Pomigliano, dopo averle sperimentate con successo all'estero, sono la premessa per introdurle prima o poi in tutti gli stabilimenti italiani”. E aggiunge più avanti: “dagli elettrodomestici al tessile e al made in Italy, sono migliaia le imprese italiane medie e piccole che possono dimostrare, dati alla mano, che in India o nelle Filippine, in Romania o in Cina le loro sussidiarie vantano una produzione pro capite di molto superiore agli impianti di casa”.
Anch'io credo che non solo la sinistra, ma nessun democratico degno di questo nome possa accettare la mercificazione di diritti costituzionali come quelli al lavoro, allo sciopero o alla libertà di espressione. Ciò non vuol dire tifare per la cosiddetta “decrescita felice”, un termine difficile da capire e, nel dialogo con i cittadini, autolesionista. Vuol dire semmai convertirsi alla sobrietà restituendo con la politica economica qualità e dignità ai beni e ai servizi comuni; compensare in tal modo il danno all'occupazione derivante da un calo (benefico?) nei consumi superflui. Vuol dire convincersi che non tutta la spesa pubblica è improduttiva e che a pagare regolarmente le tasse non sono i fessi ma le persone civili. Vuol dire che parole come rigore e crescita non possono essere usate come feticci. Pertanto, colleghi giornalisti, quando in televisione i politici, di destra o di sinistra, le utilizzano come slogan, perché non chiediamo loro: quale crescita? Rigore con chi?

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