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Articolo 21 - Editoriali
“Io, Augusto Minzolini,il liberatore del Tg1”
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di Ottavio Olita

Non so se Demetrio Volcic, Nuccio Fava, Gad Lerner, Giulio Borrelli, Marcello Sorgi, Gianni Riotta o anche Clemente Mimun – e cosa avrebbe detto, se avesse potuto, il grande Emilio Rossi? - e tutti gli altri bravi giornalisti che si sono succeduti alla guida del Tg1 abbiano avuto la curiosità, il tempo o la voglia di ascoltare il loro ultimo successore, Augusto Minzolini, nei trenta minuti che con grande generosità la Rete Uno gli ha concesso nello spazio di Uno Mattina, tanto caro al pubblico femminile. Se lo avessero fatto (ma se sono interessati possono sempre recuperare il fondamentale documento da Internet), sarebbero saltati sulla sedia o per l’indignazione o perché squassati dalle risate. L’auto promozione ben pilotata si è chiusa con la seguente affermazione: “Ho cercato di dare al Tg1 un’anima e ho liberato il giornale”.
 Di fronte a lui, a condividere questo alto momento celebrativo, Pierluigi Diaco, che ha introdotto Minzolini facendo intuire che lui, legato da un contratto con la Rete e non con la testata, quell’intervista, sì, la faceva, ma che forse sarebbe stato meglio non farla. Ma poi, in realtà, il “liberatore” del Tg1 ha potuto impunemente auto- incensarsi, trattare come una specie di malattia infantile il suo giovanile impegno politico – da cui poi, ha tenuto a precisare, crescendo è guarito completamente -, definire ‘ideologiche e dogmatiche’ tutte le posizioni che criticano il suo modo di fare il giornale, i suoi editoriali, le sue singolari scelte di servizi ed impaginazione. Anzi, per la verità, è anche arrivato a dire che noi italiani abbiamo un predilezione per l’autoflagellazione e non sappiamo valorizzare quel che facciamo: in particolare come è stata affrontata la grave crisi economica.
Ezio Mauro e la comune esperienza a “La Stampa”? Poco più di un incontro casuale rapidamente interrotto dal passaggio di Mauro alla direzione della “Repubblica”. E c’è più carenza di persone o idee utili al cambiamento? Ovviamente di idee. Come si fa a sostenere, come è stato fatto nelle manifestazioni indette dalla Fnsi, che in Italia non c’è libertà di stampa? Come si fa a sostenerlo, di fronte alla presenza di tanti giornali? E’ un assurdo, un paradosso. Si è dimenticato di dire, né gli è stato chiesto, del livello di concentrazione delle proprietà, del controllo sul sistema televisivo pubblico e privato. Anzi, per parlar chiaro, ha attribuito a Berlusconi il merito di aver rivoluzionato (sì, ha usato proprio questo termine) la politica, cambiando tutto il sistema, dando una maggior durata ai governi, usando un linguaggio più diretto. Conflitto d’interessi? Assolutamente inesistente nelle domande e, quindi, nelle risposte. E D’Alema? Ha dato un alto contributo, ma non ha avuto abbastanza coraggio, perché la ‘tribù’ non lo seguiva. E la Rai? L’unico rischio reale sono i condizionamenti. Ma non per lui: “Con me non funzionano”. Salvo poi a fare gli editoriali che tutti abbiamo avuto modo di ascoltare.
Questo delizioso teatrino ambientato in un verde scenario molestato solo da qualche zanzara di passaggio, ha toccato l’apice quando è stato affrontato il tema del rinnovamento dei conduttori. “C’era chi conduceva da trenta, vent’anni” ha sottolineato il Minzolini Ridens attribuendo a questo motivo la ragione della rimozione dal video di professionisti della bravura, della conoscenza e del rispetto profondo di cosa deve essere “servizio pubblico” quali Tiziana Ferrario, Paolo Di Giannantonio, Maria Luisa Busi, Raffaele Genah. L’alternativa dei bei volti giovanili, per svecchiare, è stata dettata dalla constatazione che il pubblico del Tg1 è avanti negli anni. E, a quali altri incarichi sono stati destinati i conduttori rimossi? Nessuna domanda, nessuna risposta.
 Ora, che per questo direttore la forma esteriore sia più importante della sostanza è la conferma di quanto egli sia allineato con il pensiero e la pratica dell’uomo che ha “rivoluzionato” la politica nel Paese. Oltre alla curiosità di sapere che cosa intenda per servizio pubblico, sarebbe stato interessante chiedergli se, sulla base di questa straordinaria, approfondita valutazione, bisognerebbe far fuori anche altri professionisti ai quali è legata la storia della Rai: Piero Angela, Corrado Augias, Fabio Fazio,Vincenzo Mollica, così com’era stato fatto per Enzo Biagi. Ma forse il conflitto con quelle professionalità rimosse nasce anche dal fatto che le loro carriere sono state costruite non origliando dietro le porte ma andando su campi difficilissimi, in tutto il mondo, per far conoscere realtà altrimenti ignorate o dimenticate.
 Infine, un’unica domanda all’azienda Rai. Questo è il nuovo modo di concepire il Servizio Pubblico? Oppure il mandato assegnato a Minzolini è proprio quello di affermare che non gli utenti, i cittadini, anche per il tramite delle loro rappresentanze parlamentari, sono l’editore di riferimento di questi direttori, ma solo la parte che li ha scelti?
 
  

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