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Articolo 21 - Editoriali
Economia, allarme rosso
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di Alfiero Grandi

Draghi ha ribadito che la disoccupazione italiana reale è oltre l’11 %, calcolando anche il numero dei lavoratori che oggi sono protetti dalla cassa integrazione e per i quali, non a caso, il tavolo delle parti sociali che è stato riunito nei giorni scorsi ha chiesto garanzie al Governo per la proroga anche nel 2011. Tra l’altro per ora la risposta è un balbettio di Sacconi senza effetti pratici. Altrimenti questi lavoratori resteranno senza lavoro e senza sostegno al reddito.

Draghi ancora non sapeva dell’annuncio del Ministro Brunetta che entro il 2013 ci saranno 300.000 dipendenti in meno nella Pubblica Amministrazione. Infatti questa intenzione, se il Governo dovesse sopravvivere fino alla scadenza naturale, porterebbe ad un’ulteriore contrazione dei posti di lavoro e quindi ad un aumento della disoccupazione, visto che è difficile che si creino nuovi posti di lavoro per assorbire giovani se ancora attendono risposta al loro destino lavorativo oltre 650.000 cassaintegrati. Come si dice: piove sul bagnato.

Intanto il tempo passa. Non è la banalità che può sembrare, perché il nostro paese è di fatto senza Governo per quanto riguarda l’economia e di questi tempi non è certo poca cosa. Basta riflettere sul fatto che le parti sociali si sono riunite insieme per elaborare una piattaforma (rivendicativa) comune da sottoporre al Governo. E’ un cambio di passo decisivo. Per un lungo periodo le organizzazioni degli imprenditori hanno sperato che il Governo mantenesse almeno in parte le promesse fatte. Al punto che hanno accettato per un lungo periodo di tentare l’isolamento della Cgil. Isolamento della Cgil che il Governo ha fortemente perseguito per tentare di eliminare l’unico interlocutore veramente fastidioso. L’isolamento ha incontrato difficoltà, ma soprattutto il Governo è tuttora affaccendato in problemi giudiziari del Presidente Berlusconi e distratto sull’economia, dove subisce il diktat di Tremonti, che, in uno dei suoi tanti trasformismi, ha deciso di diventare un rigorista, addirittura il migliore allievo non solo di Trichet (BCE) ma di Schauble (Ministro tedesco delle Finanze).  Ormai anche le associazioni delle imprese cominciano a capire che la promessa di mano libera sul lavoro non è solo difficile da ottenere ma non serve a granchè quando non c’è mercato e che anzi i paesi che vanno meglio come la Germania riescono perché hanno un clima sociale più accettabile.

Colpisce che in Germania il lavoratore della VolksWagen abbia una retribuzione lorda di 2800 euro al mese (un sogno per i lavoratori italiani della Fiat) senza che la Germania ne risenta sotto il profilo della competitività sui mercati esteri.

La strategia di Tremonti, ridotta all’osso, sembra essere quella di diventare indispensabile agli occhi dell’Europa, in vista di future occasioni personali.

Se poi come conseguenza del tremontismo l’Italia diventerà l’ombra di sé stessa, pazienza.

Il tempo passa perché, come dice un sito che ha messo la clessidra, il debito pubblico italiano aumenta di 164.111 euro al minuto senza far nulla. Nello stesso tempo il nostro ineffabile Ministro partecipa con tranquillità ad una discussione europea che prevede di arrivare ad un debito pubblico pari al 60 %. Dovrebbe essere chiaro che il risanamento di un paese in crescita è cosa diversa da quello di un paese ripiegato su sé stesso com’è oggi l’Italia. Altri hanno avuto da ridire su questa ondata neorigorista, Tremonti no. Anzi sostiene che per l’Italia questa draconiana previsione è gestibile, solo perché, forse, ci sarà un generico riferimento alla capacità di risparmio degli italiani. Resta da spiegare perché nel frattempo il Ministro non si proccupi di vedere aumentare adesso, giorno dopo giorno il nostro debito pubblico. Perché il dato è che il debito pubblico aumenta non perché sono aumentati gli investimenti pubblici, di cui ci sarebbe grande bisogno e che invece sono calati drasticamente, ma perché è aumentata molto la spesa corrente. Per di più l’Italia non ha dovuto sborsare cifre paragonabili a quelle di altri paesi per salvare il sistema finanziario. La spesa corrente che le dichiarazioni propagandistiche del Governo dicevano di volere contenere per consentire gli investimenti, oltre che il risanamento, invece aumenta. Per alcuni degli interventi indispensabili, furbescamente rinviati a fine anno, dopo la sessione di bilancio, ci saranno “morti e feriti” perché tutti quelli richiesti non potranno essere decisi in quanto il barile che si sta cercando di raschiare ulteriormente ormai non ha più il fondo.

Aspettare non è un buon modo per affrontare il problema perché nel 2011 il debito pubblico italiano supererà il 119 %, quindi sarà sempre più difficile riuscire a fare coesistere risanamento e ripresa dell’economia e dell’occupazione e saranno sempre più stretti gli spazi di intervento, che - pur stretti - ancora ci sono.

In realtà il nostro paese sta pagando una tassa occulta, non dichiarata, che è il peso del non governo dell’economia e il conto rischia di essere molto, molto salato.

Più tardi avverrà un cambiamento politico, più difficile sarà risalire perché più ristretta sarà la base economica su cui appoggiarsi. Anche questo aspetto dovrebbe entrare nelle valutazioni politiche, non solo il fatto se il lodo Alfano sia o meno reiterabile.

 

 

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