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Articolo 21 - Editoriali
Perché sono costretto a lasciare l’Idv
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di Nicola Tranfaglia

Mi sono avvicinato all’Italia dei Valori dopo la vittoria di Berlusconi nell’aprile del 2008 apprezzando la netta opposizione che il partito conduceva in parlamento contro la coalizione di centro-destra. Non sono stato l’unico ma lo ha fatto anche il mio vecchio e caro amico Gianni Vattimo di cui ho sempre apprezzato la competenza e l’impegno civile. Mi sono dedicato senza risparmiarmi, come faccio sempre, quando credo in una giusta causa e ho percorso l’Italia in lungo e in largo per promuovere il partito e sostenere le battaglie sullo stato di diritto, le cause dell’opposizione, la violazione dei diritti dei lavoratori, le proposte necessarie per creare una valida alternativa alla deriva berlusconiana.
Purtroppo ho dovuto verificare come le speranze mie e dei simpatizzanti dell’Italia dei Valori fossero, a dir poco, eccessive e mal risposte. Ho conosciuto bene in questi anni il partito fondato da Di Pietro e ho dovuto constatare che, pur avendo al suo interno sinceri riformatori, è rimasto ahimè un partito troppo personale, o meglio un partito personale e familiare, governato con pugno di ferro dall’ex pm di Milano e da una schiera di amiche e parenti di ogni ordine e grado. Con criteri interni di governo, quel che è peggio, che nulla hanno a che fare con il merito individuale e la competenza e, tanto meno, con quella parità dei punti di partenza,  che dovrebbe  restare  il sale di un partito politico moderno.
Dopo un anno di intenso lavoro, Di Pietro mi ha nominato, motu proprio (come sempre avviene) Responsabile nazionale per la Cultura, l’Istruzione e la Ricerca, titolare di un nuovo Dipartimento del Partito per il quale potevo disporre soltanto di una brava mezza segretaria, divisa con altri due responsabili, e di mia moglie,  collaboratrice preziosa nel mio lavoro scientifico e culturale, che ha dato generosamente il suo apporto volontario e gratuito.
Ho accettato con il solito entusiasmo, convinto che perché il partito facesse un salto di qualità, avendo iniziato come un movimento, avesse bisogno di formare i giovani come futura nuova classe dirigente. Ho fondato perciò scuole di formazione politica e culturale per i giovani e l’iniziativa, del tutto gratuita per studenti e professori, ha avuto un indubbio successo, con un primo esperimento a Roma frequentato da una sessantina di giovani. Quindi ho pensato di farne una Scuola Nazionale, con più di duecento persone. In quell’occasione Di Pietro, in un primo tempo, non ha voluto finanziare la Scuola ma, quando ha constatato l’entusiasmo evidente  dei destinatari, ha deciso di aggiungere alcune (non tante)  risorse del partito a quelle dei capi - gruppo di Camera e Senato, Donadi e Belisario, che avevano subito capito l’idea e l’avevano  finanziata.  La Scuola di formazione ha riscosso un grande successo presso le nuove generazioni e in seguito sono nate su quell’esempio varie scuole regionali a cui ho partecipato.
Dopo tutto questo impegno, come un fulmine a ciel sereno poco più di un mese fa, la Tesoriera Nazionale, rag. on. Silvana Mura, è venuta  nel mio studio, nella sede centrale del partito, e, senza nessuna spiegazione, mi ha comunicato che il presidente del partito d’accordo con lei, aveva deciso di sospendere a tempo indeterminato il mio esiguo rimborso spese mensile, per improvvise difficoltà economiche.
Ho chiesto a Di Pietro le ragioni della scelta  e  mi ha detto testualmente: “ E’ legittimo ma devo decidere.” E, nel mese successivo, non mi ha detto più nulla.
L’unica consolazione dopo questa esperienza negativa, è che non sono il primo né l’unico ad aver avuto un trattamento discutibile dall’on. Di Pietro: i casi di Elio Veltri e di Giulietto Chiesa sono lì a dimostrarlo.
A questo punto non mi restava che lasciare il partito, pur con grande dispiacere per i giovani che mi avevano seguito in questi anni con grande interesse. Quasi grottesco è stato   l’ultimo colloquio con Di Pietro: gli volevo spiegare la strategia culturale che avevo in mente per il partito, ma lui mi ha interrotto dicendomi che non era il caso di discuterne perché non era quella una priorità e che a proposito di strategie lui non aveva niente da imparare, essendo l’unico uomo insieme con Bossi che aveva fondato un partito (si era dimenticato che la grande notorietà non se l’è guadagnata da solo ma è venuta a lui dalla clamorosa vicenda di Mani Pulite), perciò stima una sola persona in parlamento e questi è Umberto Bossi fondatore della Lega Nord. Potete immaginare quello che ho pensato. Ora mi è chiaro il perché sono stati scelti da Di Pietro personaggi come Scilipoti De Gregorio ecc…La cultura non è una priorità e i criteri usati sono, a questo punto,  facilmente immaginabili.

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