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Articolo 21 - Editoriali
La demagogia della Lega. E intanto detenuti e agenti di polizia si tolgono la vita. Sono delitti
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di Valter Vecellio

A voler nobilitare la cosa si potrebbe dire che stiamo assistendo a un crescendo rossiniano. Comincia Umberto Bossi con il suo: “Immigrati, fuori dalle palle”. Subito Roberto Calderoli minaccia il ritiro del contingente militare italiano dal Libano. Per non essere da meno il ministro dell’Interno Roberto Maroni ipotizza che l’Italia possa uscire dall’Unione Europea; il ministro degli Esteri Franco Frattini nel patetico tentativo di metterci una toppa non fa in tempo a dire che Maroni ha parlato in un momento di esasperazione e di rabbia, che subito interviene un altro Roberto, quel Castelli che ancora ce lo ricordiamo quando è stato ministro della Giustizia: e se ne esce che per il momento contro gli extracomunitari non si possono usare le armi, ma non si sa mai. In questo delirio a chi dice la corbelleria più grossa manca certamente qualcuno, ma non bisogna disperare: la lacuna sarà prontamente e lestamente colmata. Del resto, non bisogna stupirsi. Indimenticabile l’affermazione qualche giorno fa, del deputato leghista all’indirizzo di Ileana Argentin, parlamentare “colpevole” di essere portatrice di un grave, permanente handicap. Un parlamentare della Lega diversamente intelligente, si è scagliato contro la Argentin in modo volgare e disgustoso. Ma la cosa più disgustosa, avvilente è che da parte del parlamentare diversamente intelligente non c’è stato neppure cenno di scuse; e la Lega, il gruppo politico anch’esso diversamente intelligente, non si è dissociata, non ha condannato quella volgare e disgustosa invettiva.
   Stanno facendo una belluina campagna elettorale, come sanno, facendo leva sugli istinti più bassi dell’elettorato. E mentre con le loro volgarità e le loro indecenti, indecorose, affermazioni calamitano l’attenzione di chi dovrebbe garantire a tutti noi l’informazione di cui abbiamo diritto, giorno dopo giorno, quotidianamente, si consumano quelli che Marco Pannella chiama, isolato e parrebbe inascoltato, e tra la generale indifferenza, nuclei consistenti di shoah.
   Cerchiamo allora almeno noi di dare un po’ di voce a questi nuclei che a quanto pare lasciano indifferenti, e massimamente indifferente e inerte è il ministro della Giustizia Angelino Alfano, evidentemente impegnatissimo nelle sue fasulle riforme epocali e nelle leggi ad personam per salvare l’inquilino di palazzo Chigi dai processi che lo riguardano.
   Era un romeno di 58 anni. Non sappiamo il suo nome, sappiamo che da otto anni era rinchiuso nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. L’altra notte è andato in bagno, da un lenzuolo ha ricavato una corda, se l’è stretta attorno al collo, si è lasciato andare. E’ il secondo suicidio negli ultimi quattro mesi. Ha deciso di farla finita subito dopo aver ricevuto la notizia di un’altra proroga della pena, nonostante fosse stato riconosciuto non più socialmente pericoloso. Condannato a restare ad Aversa perché non c’era spazio nella Regione di provenienza, l’Asl non lo poteva o non lo voleva assistere. All’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa ci sono 180 posti, gli internati sono 300.
   Anche ieri l’associazione nazionale dei magistrati è scesa in campo per difendere tra l’altro l’intangibile conquista giuridica e democratica che sarebbe costituita dall’obbligatorietà dell’azione penale. Ecco: qui c’è sicuramente molta materia di indagine, e sicuramente ci sono dei responsabili per il degrado in cui versa l’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa che rende possibili delitti – perché tali sono, tali vanno considerati – come quello del rumeno che si è tolto la vita nel bagno della cella dove lo avevano rinchiuso. Dall’inizio dell’anno sono diciotto i detenuti che si sono tolti la vita. A questi vanno sommati i circa duecentotrenta tentati suicidi dal 1 gennaio del 2011.
   Questa shoah che si consuma quotidianamente e silenziosamente non riguarda solo i detenuti; riguarda sempre più anche chi ha il compito di vigilare sui detenuti. Un assistente capo della Polizia penitenziaria, 40 anni, effettivo in servizio nella casa circondariale di Caltanissetta, in distacco alla casa circondariale di Caltagirone, ha accostato la macchina al ciglio della strada e si è impiccato a un albero.
   Due giorni fa si è ucciso un altro agente della polizia penitenziaria del carcere sardo di Mamone Lodè. Due suicidi in pochi giorni. Avranno, forse, avuto i loro problemi, che a un certo punto saranno sembrati così pesanti, così gravosi da poter essere risolti solo togliendosi la vita. Ma ormai comincia a essere una lunga lista, quella degli agenti di polizia penitenziaria che – anche loro – come i detenuti, si suicidano. Il segretario della UIL Penitenziaria Eugenio Sarno ci fa sapere che negli ultimi cinque anni si sono tolti la vita ben diciotto agenti penitenziari.  E’ evidente che occorre comprendere e accertare quanto può aver inciso l’attività lavorativa, le difficili condizioni lavorative cui sono costretti. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva assicurato una verifica delle condizioni di disagio del personale e l’istituzione di centri di ascolto. A tutt’oggi, denunciano i sindacati della polizia penitenziaria, le promesse sono rimaste tali.
   Il PD, l’opposizione in queste ore è impegnata allo spasimo in un’azione di ostruzionismo e lodevole rispetto delle regole per contrastare il cosiddetto “processo breve” fortissimamente voluto da Berlusconi e dal suo governo. Bravi. Peccato solo che non mostrino analogo rigore, sensibilità, attenzione per la quotidiana shoah che si consuma nelle carceri. Peccato che ancora non si impegnino in due iniziative autenticamente riformatrici che urgono: l’abolizione di due leggi criminogene: la Bossi-Fini sull’emigrazione; e la Fini-Giovanardi sulla droga. Se la situazione nelle carceri, nei tribunali, nel mondo della giustizia è quello sfacelo che è, buona parte della responsabilità è di queste due leggi.  
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