di Antonio Boccuzzi
In questi tre anni insieme al dolore per la perdita dei nostri cari abbiamo vissuto molte ansie nelle tappe di avvicinamento a questo traguardo.
Dolore su dolore,false testimonianze, altre morti in quell'azienda, tentativi di smontare il testo unico per la salute e sicurezza dei lavoratori, processi brevi che hanno rischiato di cancellare il nostro processo.
Abbiamo scoperto e condiviso con moltissime altre tragedie il nostro e il loro dolore.
Padri che non hanno avuto il tempo di raccontare le favole ai loro bimbi, di tenerli sopra le proprie ginocchia, di punirli per le marachelle e perdonarli con un bel sorriso.
Mamme che hanno nelle loro mani troppe carezze per i loro figli che non torneranno, che non apriranno più quella porta per salutarle con un bacio sulla guancia. Quella guancia è sempre lì che li che aspetta, ma nel frattempo quelle mamme tutti i giorni si recano al cimitero, a baciare le loro lapidi che ormai sono l'unico contatto con coloro che hanno amato.
La sofferenza ti unisce e la reciproca comprensione è ancor più immediata.
Quanti sogni sono stati portati via quella notte e in tutte quelle notti dove altre anime perdono la vita lavorando.
Tante, saranno sempre troppe le morti di chi perde la vita lavorando.
Non serve solo riampirsi la bocca con ipocrita e distante solidarietà e condivisione di un dolore che non si conosce. Occorre agire,e farlo velocemente.
La sentenza Thyssen potrebbe essere utile in questo percorso.
Quello che è terminato in primo grado ieri sera non è il primo procedimento che si celebra per la sicurezza sul lavoro, ma è il primo che si è celebrato in Corte d'assise, perchè per la prima volta è stato contestato il "dolo eventuale" e la colpa cosciente.
E' stata una giornata lunga. Eravamo tutti molto tesi, aspettando la sentenza. Una sentenza giusta.
Il timore era che potesse essere derubricato il reato di omicidio volontario, ma non poteva essere, non sarebbe stato giusto.
Questo è un processo esemplare proprio per il reato contestato, e quindi la sentenza doveva essere esemplare.
Leggo ora i commenti delle istituzioni ternane. Le comprendo, ma non le condivido. La Thyssen potrebbe decidere di lasciare l'Italia così come ha minacciato? Se la Thyssen dovesse decidere di abbandonare il nostro Paese, lo farà punto e basta.
Nessuna sentenza può essere l'alibi. L'azienda ha usato Torino come un paio di calzini, e quando gli stessi non gli andavano più, ha deciso di cambiarli, buttandoli via .
Non concediamogli questo alibi, e non proviamo a farlo noi. Sarebbe ingiusto.
Proprio ieri sera sono tornato alla Thyssen, a Torino. Perlomeno a ciò che ne rimane .
Anche lo stabilimento sembra ormai sia morto. Il tempo si è fermato per quei muri e quei cancelli a quella notte.
Mentre mi avvicino a quello che poco tempo fa era l'ingresso del parcheggio, montagne di foglie secche scricchiolano sotto i miei piedi, quasi a rappresentare il tempo passato, il tempo che passa e non ritorna.
Ciò che è più amaro nel dolore di oggi è il ricordo della gioia di ieri.