di Gert Dal Pozzo
I nodi vengono al pettine, sempre, e questa massima sembra valere anche qui nel Bel Paese, persino per i calvi.
Sardegna, elezioni provinciali di Cagliari, il candidato Giuseppe Farris in testa nei sondaggi non vince al primo turno ed è obbligato dal presidente uscente, Graziano Milia, al balottaggio. L'ottimismo nello staff dello sfidante berlusconiano trasborda più che nella nota pubblicità con Tonino Guerra. Come potrebbe essere diversamente? Il primo turno si chiude con 13 punti percentuali a favore dello sfidante.
Lo stacco dato al candidato del centrosinistra è immane, i siti web, il popolo di fakebook (non è un refuso) sostiene e promuove Farris perché “giovane, nuovo, fresco”, elettoralmente appetitoso come una tazza di cioccolata calda in pieno inverno in una baita di montagna.
Eppure la storia ci riporta l'immagine di un tonfo colossale. Il pidiellino isolano crolla al secondo turno e la matematica elettorale non lascia dubbi: il centrodestra non è riuscito a riportare i suoi a votare, il centrosinistra invece si, diecimila voti in meno rispetto al primo turno che hanno permesso a Milia di vincere con poco più del 52%.
All'indomani della trombata la tesi più acclarata per spiegare l'accaduto, quella da rasoio di Occam tanto era elementare ed esauriente, convergeva su un errore di presunzione, di estrema ed eccessiva sicumera 'iomenefreghista' dei berluscones.
Non che non ci fossero nel Pdl sardo frizioni o malumori (Massidda ha eroso circa 9 punti percentuali al candidato ufficiale) ma niente che un sano e coerente 'senso della spartizione' non potesse risolvere adeguatamente. Eppure, Farris perde, Milia vince contro ogni statistica, contro ogni ipotesi e soprattutto contro ogni logica: un uscente dato per politicamente e amministrativamente morto sarebbe stato fin troppo facile da seppellire definitivamente. E come si sa di fronte ad una situazione del genere, per quanto apprezzabili fanno poco o niente la creatività, il viral marketing, il buzzing e il faking più estremo.
Oggi, però, alla luce delle indagini e delle rivelazioni sulla banda dei 'vecchietti che volevano dominare il mond'o la vista assume contorni diversi.
Farris sembra una pedina che non ha saputo fare neanche quello per cui era stato scelto dal Presidente del Consiglio: convincere i capi bastone che una serie di interessi sarebbero stati tutelati, salvaguardando la sempiterna 'filiera' tra livelli istituzionali nonché, in primis, l'eolico.
E così, verrebbe da pensare con un approccio estremamente dietrologico, che a far perdere Farris (e non a far vincere Milia) sia stata la ripicca di una parte del Pdl locale che con i 'nuovi gladiatori' non voleva avere a che fare, non necessariamente per questioni legate alla propria integrità politica, etica o morale. D'altra parte si sa che la destra sarda ha sempre avuto un debole per i fregiati dal gladio. Scoperchiato il calderone, da Pontecagnano a Cagliari il filo rosso è uno ed è quello di un Pdl frammentato che solo quando scimmiotta le dinamiche interne al Pd riesce ad offrire opportunità di vittoria al centrosinistra. Riesce per così dire a perdere più che a far vincere.
Il dato sconcertante, però, al di là di quello giudiziario, è che l'Italia si è ridotta ad avere competizioni elettorali in cui sono esclusivamente le problematiche interne ai partiti a segnare il risultato. E' il massimo grado di autoreferenzialità che la politica potesse toccare e in sostanza tutte le formazioni politiche ne sono interessate, gli 'splendidi' della Lista 5 stelle esattamente allo stesso modo dei democrats o dei nuovi comunisti.
Non c'è proposta programmatica, non c'è progetto o piano di lavoro che tenga. Non tiene più neanche l'american dream del Berlusconi vecchia maniera o il richiamo alla responsabilità civile di Prodi. Siamo diventati refrattari a qualsiasi concretizzazione delle idee e dei principi che regolano la vita pubblica e al tempo stesso di certi idealismi non vogliamo più sentir parlare. E più l'uomo della strada si disinteressa a quello che l'amministrazione pubblica può e deve progettare e realizzare e più l'agone politico devolve ad un immenso e abbacinante studio televisivo dove va in scena una realtà bislacca in cui ciascuno vive individualmente alla giornata, senza alcun interesse per il quadro generale, impegnato com'è a gestire le proprie entrate e le proprie uscite, il proprio status e la propria immagine.