di Gilberto Squizzato
di E adesso che si dirà dei 6 milioni investiti dalla Moratti in pubblicità per il primo turno, lievitati di altri 2 per i ballottaggi? Si dovrà prendere atto che la realtà è più forte della pubblicità e della propaganda, che l’immagine -costruita ad arte- di una città fittizia non regge al confronto con la vita reale che irrompe anche nelle urne e muta gli equilibri degli organismi amministrativi della città. Perché Milano non è la metropoli in cui il razzismo di Zingaropoli -che ha fatto sbalordire di vergogna l’Europa- gridato cinicamente da Bossi e fatto proprio dal Presidente del Consiglio possa rappresentare la vera anima dei suoi abitanti; non è la città chiusa e settaria dove si possa fare della negazione della libertà di culto uno slogan per aizzare gli elettori più fragili contro le religioni degli immigrati e per colpire con ingannevoli e sleali stratagemmi gli avversari politici; non è più la Milano da bere (anzi da trangugiare) che la maggioranza politica sconfitta oggi da Pisapia voleva far credere al resto d’Italia.
Altri analizzeranno i flussi elettorali di questa clamorosa inversione di tendenza (“il vento nuovo” del Nord), le ragioni della vittoria della colazione di Centrosinistra raccolta intorno al candidato di SEL che ha vinto le primarie, i motivi della ritirata della Lega che deve abbandonare le grandi città e risalire le valli da cui era scesa trionfale vent’anni fa. A me basta, per ora, richiamare l’attenzione degli amici che si raccolgono intorno alle battaglie di Articolo 21 sulla deflagrazione di verità comprovata dai risultati elettorali di oggi: la propaganda elettorale del Cavaliere centrata su un’immagine narcisistica vincente e onnipotente, il racconto euforico di una città felice assediata dall’invidia dei comunisti e dei musulmani, il massiccio investimento della Lega sui moti viscerali della paura, possono ottenere vittorie consistenti sul medio e breve periodo, ma alla lunga devono cedere il passo alla realtà, che non tollera all’infinito mistificazioni ed inganni.
Ma allora chiediamoci: che Milano hanno rappresentato in questo lunghissimo ventennio le reti pubbliche e private controllate da Berlusconi? che Lombardia hanno raccontato? Un trionfo di consumi e gioie riservati ad un’élite privilegiata e sbandierati sotto il naso dei più per illuderli di una facile felicità commerciale mentre invece la massa della popolazione si impoveriva; una quotidiana, ininterrotta festa di divi e divetti costruiti dal nulla negli studi televisivi per far credere che il successo sia a portata di mano di tutti coloro che sono disposti ad esibirsi davanti alle telecamere; il sogno di una facile e inarrestabile ascesa sociale che non fa i conti con la durezza del reale. Ebbene, la vittoria di Pisapia è stata anche quella di una nuova cultura: ci ha detto che l’egemonia mediatica (ma anche immaginifica e viscerale) che ha fatto la fortuna di Berlusconi e di Bossi ha fatto ormai il suo tempo, perché i cittadini di Milano hanno manifestato anzitutto il bisogno di un serio ed onesto confronto con la realtà. Non è tanto la vittoria di uno schieramento di centrosinistra quanto, anzitutto, un bagno di verità di cui la gente lombarda sentiva il bisogno da tanto tempo.
E allora bisognerà pure che i problemi del lavoro, del precariato, dell’assenza di futuro di un’intera generazione, della deliberata non-integrazione di centinaia di migliaia di immigrati, di un nuovo modello di welfare tutto da inventare tornino nelle prime pagine dell’informazione e dei dibattiti televisivi; che diventino temi centrali dei talk show e dei contenitori mettendo alla porta il gossip e le vacuità rifiutate oggi, con la scheda deposta nell’urna, dalla maggioranza degli elettori; che le tv, a cominciare da quella pubblica, investano in verità e realtà, cioè in narrazioni (fiction) che accantonando le soap inutili e le comedy diversive ci raccontino la realtà quotidiana del milanese vero e concreto, quella di milioni di italiani che non sanno come arrivare alla fine del mese.
Milano è tante cose ma è prima di tutto la grande questione televisiva e informativa nazionale. Con un immagine non veritiera, parziale, elusiva, del mondo in cui viviamo, che consapevolezza collettiva possiamo costruirci a proposito delle grandi domande che interpellano i nostri tempi? Se crederemo ancora di poter nascondere dietro tette, culi, canzonette e razzismo xenofobo la disgregazione del tessuto produttivo italiano, l’impoverimento della classe media, l’inversione di direzione dell’ascensore sociale, la cancellazione del diritto allo studio e all’università, la dissipazione del territorio, la riduzione dei diritti delle donne, questo paese non andrà lontano, ma sprofonderà in un provincialismo miope e suicida.
Ci aspettiamo perciò che Pisapia e la nuova amministrazione comunale della capitale non solo morale ma anche economica e culturale del paese affrontino di petto le questioni dell’informazione decisive per il futuro della Lombardia e dell’intero paese: la nuova sede della Rai di Milano e il suo potenziamento, un autentico pluralismo culturale del servizio pubblico radiotelevisivo, un vero decentramento della programmazione e della produzione, la fuoruscita dei partiti dal sistema di governo della Rai anche nelle sue articolazioni territoriali, l’ingresso di energie fresche, libere e autonome nei laboratori dove si dovrà costruire un’immagine non deformata della realtà milanese e lombarda.
Senza dimenticare che il 45% degli elettori andati oggi al ballottaggio ha voluto ancora credere a Zingaropoli, alla minaccia terrificante della più grande moschea d’Europa, all’invasione dei cosacchi in piazza Duomo. E’ un continente di paure e pregiudizi, ancora largamente diffusi, che non si vincono solo con la buona amministrazione ma anche con una nuova cultura civile, tutta da ricostruire.