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Articolo 21 - Editoriali
Referendum, la rivoluzione gentile che descrive una nuova Italia possibile
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di Giorgio Santelli

Se in Italia avesse votato il 100% degli aventi diritto, ovvero il totale dei 47.118.352 elettori i sì all’abrogazione di tutti i contenuti dei 4 quesiti referendari avrebbero ottenuto la maggioranza assoluta. Il primo quesito dell’acqua con il 53,9% dei voti; il secondo quesito sempre sull’acqua con il 54,33%; il quesito sul nucleare con il 53,43% e l’ultimo, sul legittimo impedimento, sarebbe passato con il 53,49%. Questo, ripeto, se avessero votato proprio tutti gli italiani e se tutti coloro che non hanno votato avessero votato 4 no. E se al corpo elettorale, come giusto, unissimo anche il totale degli elettori italiani all’estero, e pensando che tutti, ma proprio tutti avessero votato (50.418.848) , i risultati si modificano di poco.

Insomma, i numeri sono chiari e rappresentano la straordinarietà di questo voto. E’ vero, non si è trattato di un voto “contro” Berlusconi in quanto premier, ma nessuno può nascondere che è un voto contro politiche determinate dal suo governo. Ed il dato eclatante è che più della metà degli italiani chiamati ad esprimere un voto hanno detto no al governo e alle sue politiche. E in quel no c’è certamente un no più vasto ad un modo di fare politica che si è nascosto dietro la falsa chimera di una seconda repubblica mai nata.

Non è certamente il “nuovo” centrosinistra ma è certo la nuova “Italia”, fatta di donne e uomini che militano nella società civile, nel centrosinistra e nel centrodestra. Ed è segno tangibile, anzi, l’ultimo dei segni di una parabola discendente e di un modello politico impostato sul leaderismo berlusconiano.

Silvio non è più il grande ammaliatore, il Casanova che ha sedotto l’Italia. La sua lunga luna di miele con gli italiani si è interrotta. E in questa crisi, in questo “divorzio dagli italiani” come l’ha definito oggi il segretario del Pd, Berlusconi rischia di trascinarci anche la Lega. Il Carroccio se non si sbriga a ritrovare autonomia di azione e di pensiero, rischia un collasso fragoroso ed una perdita di consensi.

Berlusconi ha deluso gli italiani. Non c’è più una Regione che ha ascoltato il suo consiglio di non andare al voto. Quelle del nord fra le prime in termini di elettori ai seggi; la Sicilia che supera agevolmente il quorum. E anche la Calabria, sebbene di pochi decimali, sale sopra il 50%.

L’insofferenza leghista è visibile dal comportamento dall’elettorato di regioni come il Veneto, la Lombardia, il Piemonte. Dopo gli schiaffi alle amministrative sono arrivati quelli del referendum. Bossi aveva detto che non sarebbe andato a votare e la risposta che è arrivata assomiglia molto ad un consiglio. “Non farti condizionare da Berlusconi, ora basta!”. Una richiesta che certamente dovrà trovare risposte a Pontida.

Ma il risultato dei referendum è soprattutto una grande prova generale di un’Italia diversa.

L’Italia dei Movimenti
che per primi, hanno fatto nascere, crescere ed ora hanno meritatamente vinto il referendum. Movimenti eterogenei, che sono riusciti a stare insieme pur rappresentante pezzi di società diversi e hanno rappresentato un vero miracolo. Movimenti laici, cattolici, di confessioni diverse, ambientalisti.

C’è stata una giornata che ha spiegato bene questa diversità che si muoveva all’unisono per un progetto comune. La mattina Alex Zanotelli era a San Pietro per una preghiera sull’acqua. Nel pomeriggio si è tenuta una mobilitazione delle associazioni di gay e lesbiche per difendere il referendum. La sera è stata organizzata un’assemblea in un centro sociale per lo stesso motivo. Sono le diversità che si uniscono per uno stesso obiettivo. Non è poi così difficile, dunque.

Poi, insieme alle associazioni e ai movimenti, c’è stato il lavoro dei partiti.

L’Idv, per lungo tempo in battaglia solitaria sul legittimo impedimento e colpevole, forse, di una certa superficialità nel raccogliere le firme su nucleare ed acqua senza pensare ad un comune lavoro con chi – da anni per verità e proprio sull’acqua pubblica e sui pubblici servizi - aveva condotto solitarie battaglie contro centrosinistra e centrodestra. Il risultato positivo del referendum segnala che l’azione comune è l’unica strada percorribile. E Di Pietro non ha timore a dirlo.

La sinistra non più presente in Parlamento ma che ha compreso la necessità di trascorrere gli anni di purgatorio alla ricerca di nuove istanze a cui dare rappresentanza. L’elettorato aveva punito una sinistra che non era più in grado di dialogare con la propria base. Il nuovo ruolo lo sono andati a cercare ripartendo dalle scuole e dalle fabbriche, dal mondo del precariato.

Forse ancora inconsapevolmente, hanno lasciato da parte alcune forme di radicalismo e massimalismo che apparivano stantie e improduttive e incomprensibili, fuori dai tempi. C’era bisogno di una sinistra moderna, dialogante e pronta ad ascoltare. Le percentuali alle politiche sotto il 4% e l’esclusione dal Parlamento sono state la cura migliore per una sinistra che ora torna ad essere appetibile e convince nuovamente il proprio elettorato deluso a tornare al voto.

Poi c’è il Pd, un partito che sembrava senz’anima e che, con Bersani segretario, sembra trovarne una. Qualcuno dirà che Crozza ha reso più umano e simpatico tanto Bersani quanto il partito. Ma in questo anno e mezzo c’è stata una evoluzione importante che si riesce a percepire solo ora.

Si sa, con i successi i malumori interni si attenuano e in questa fase è più semplice comprendere l’evoluzione del Pd. Fino a poco più di un anno fa, la linea era autoreferenziale. Un riformismo strano, con la puzza sotto il naso che, nel teorizzare a lungo il primato assoluto della politica sui movimenti, aveva scelto la strada dell’autosufficienza, spinto dall’illusione di comprendere la gente e le piazze senza frequentarle.

Poi, da Bersani arriva quel cambiamento che non ti aspetti, fatto di scelte e di atteggiamenti. Il Pd, che non c’era, ad un certo punto sceglie di esserci: con gli studenti e i ricercatori, nelle strade e sui tetti; con i precari del lavoro e della cultura; con il mondo del cinema e del teatro in piazza e nei teatri; con le donne a Piazza del Popolo e poi con il popolo che ha difeso la Costituzione. E con un partito che non ha paura di fare opposizione.

Infine i delusi. Quelli che, culturalmente più distanti dagli altri che hanno partecipato al voto, si sono uniti per ultimi all’impresa. Per ultimi, è vero. Ma solo perché i sedotti sono sempre gli ultimi ad accorgersi d’essere stati traditi. E oggi hanno in testa l’idea che un’altra destra sia possibile. Senza Berlusconi, senza conflitti di interessi, con una morale degna di questo nome. In una logica di alternanza, che sappia guardare all’avversario come tale e non come nemico. Che cerca il confronto sulle idee e i programmi, non sui referendum pro o contro una persona.

Senza qualcuno di loro forse il referendum lo si sarebbe vinto lo stesso, ma la felicità non sarebbe stata uguale.

Qualcuno è partito prima, altri dopo, ma alla fine tutti sono arrivati insieme. Questo è il segnale nuovo più importante.

L’analisi del voto, quella vera, non è nel definire che c’è più del 50% del Paese contro Berlusconi o il suo governo. L’analisi vera del voto, ed è questo il patrimonio che non va disperso, fornisce il quadro di una Italia diversa, che può davvero esistere. Un nuovo centro destra, un nuovo centrosinistra e una cittadinanza attiva pronta a dare il proprio contributo. Finalmente, dopo quasi venti anni, con una Rivoluzione gentile, la seconda Repubblica, quella vera, sta davvero nascendo. E questa è la sfida più importante che interessa tutti dopo il voto del 12 e 13 giugno.

santelli@articolo21.info 

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