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Articolo 21 - Editoriali
Vasco Rossi scomunicato, Vincenzo Macrì silenziato
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di Valter Vecellio

Accadono cose strane, anche se forse strane non è la definizione più appropriata. Ad ogni modo Vasco Rossi fa scandalo. Gli danno addosso in tanti in questi giorni, e si capisce. Il “Blasco” ha l’improntitudine di dire che se gli rimanessero pochi giorni di vita li vorrebbe trascorrere in allegria, che rifiuterebbe le cure, preferendo starsene al sole dei tropici. Insomma, rivendica il suo diritto di disporre della sua vita come meglio crede. Lo rampognano dicendo che questo diritto non ce l’ha, che al contrario ha il dovere, l’obbligo, di curarsi; e che quello che dice è un messaggio sbagliato, che tutti noi – evidentemente cretini – possiamo male interpretare. O forse, chissà, lo si interpreta invece benissimo, ed è questo che non si deve e non si vuole.


   Vasco Rossi rincara, e dice una verità elementare: che per uno spinello non è mai morto nessuno; ed ecco che scatta   il crucifige. In prima fila il sottosegretario Carlo Giovanardi, uno che quando lo vedi ti viene il sospetto che forse Cesare Lombroso non avesse tutti i torti; ma anche il Codacons, che chiede addirittura l’intervento della Polizia Postale perché il sito di Vasco Rossi sia oscurato: una bella iniziativa, da estendere, magari a tutti coloro che esprimono opinioni non gradite. Lo fanno già in Cina, si può fare come loro. Una organizzazione denominata “Unione cristiani cattolici razionali”, chiede agli amici di Vasco Rossi di tutelarlo, di togliergli di mano facebook, per il suo bene, perché è incapace, evidentemente, di intendere ma non di volere. Come dice il proverbio? La mamma degli imbecilli è sempre incinta, ma anche quella dei rompicoglioni che ti vogliono salvare l’anima non scherza.


    In parallelo una notizia che è stata completamente ignorata, e che pure merita.
    Allora: "Ormai è acclarato che il proibizionismo è criminogeno e genera reati. Non è servito a combattere il business della 'Ndrangheta, che è cresciuto a dismisura. Questa strada non ci porta da nessuna parte. Per questo dobbiamo rompere il tabù e valutare la liberalizzazione di tutte le droghe, anche quelle pesanti. Bisogna affrontare il problema a livello internazionale, perché sul piano locale non serve. Bisogna andare oltre e fare scelte più coraggiose".


   Non è il “solito” Marco Pannella, i “soliti” antiproibizionisti radicali che parlano; è un magistrato. Un magistrato che si chiama Vincenzo Macrì; è procuratore generale della Corte di Appello di Ancona, ma prima è stato procuratore aggiunto antimafia. Ha vissuto e lavorato per anni in Calabria, e una certa esperienza si presume l’abbia maturata ed acquisita. Macrì  correttamente dice di non avere ricette salvifiche, ma di credere che una riflessione pubblica vada promossa: "Non ho paura di diventare impopolare, mi baso sui fatti: l'ultimo rapporto annuale di Eurispes ci dice che nel 2010 il giro d'affari delle mafie italiane si aggira intorno ai 180 miliardi di euro. Di questo giro d'affari complessivo, il 60 per cento circa è rappresentato dai proventi del traffico di droga. Una percentuale molto alta, siamo intorno ai 100 miliardi, una cifra destinata a salire di anno in anno. Nel 2004, infatti, il giro d'affari delle mafie italiane era ancora di 100 miliardi; dal 2004 al 2010 è cresciuto quasi del doppio".


    Il solito Giovanardi in servizio permanente attivo censorio si dice terrorizzato che magistrati in servizio pensino di combattere la 'ndragheta favorendo la libera diffusione di quel killer micidiale che è la droga; e invoca l’intervento del Consiglio Superiore della Magistratura. E non può mancare all’appello il presidente dei senatori del PdL Maurizio Gasparri, che da un procuratore antimafia si aspetta “ben altro rigore che non il sostegno a tesi antiproibizioniste in netto contrasto con le politiche sociali adottate da molti Paesi europei e soprattutto contro ogni studio medico-scientifico sui devastanti effetti derivanti dall'uso di sostanze stupefacenti”.
   Macrì fornisce dati, cifre. E quelli là rispondono con anatemi e scomuniche. E soprattutto si evita con cura quella riflessione pubblica che pure servirebbe. E’ lo stesso Macrì a rilevarlo. Nel sito web di don Andrea Gallo si legge una sua dichiarazione:
   “Devo rilevare che nessuna delle reazioni ha dato una risposta nel merito alla mia analisi sui temi del proibizionismo e della mafia. In linea generale si sono limitate a insulti che rivelano solo la mancanza di argomenti validi. Mi sono limitato come magistrato con lunga esperienza in materia, ad indicare gli effetti devastanti sul piano del rafforzamento delle organizzazioni criminali e dell’economia di interi paesi, prodotti dal proibizionismo in materia di droga invitando ad avviare sul tema una discussione pacata e razionale, senza tabù e pregiudizio in genere. Se la classe politica non intende accettare l’invito, è libera di farlo. Ma ritengo che i problemi che ho esposto si aggravano sempre più se si continuerà su questa strada”.  
   Non è bello, ma è certamente istruttivo.

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