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Articolo 21 - Editoriali
Se la civiltà di un paese si misura dallo stato delle carceri, l’Italia può dirsi un paese civile?
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di Valter Vecellio

“…Una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile…
Evidente in generale è l'abisso che separa, come si è detto, la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona. E' una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita… Di qui una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all'impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo, per non parlare dell'estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari, inconcepibile in qualsiasi paese appena appena civile - strutture pseudo-ospedaliere che solo recenti coraggiose iniziative bi-partisan di una commissione parlamentare stanno finalmente mettendo in mora...Ci si rifletta seriamente, e presto, da ogni parte”.
    Così il presidente della Repubblica Giorgio Napoletano al convegno “Giustizia! In nome della Legge e del Popolo sovrano”. Il monito, l'allarme non poteva essere più autorevole. Ma da quel 28 luglio, quando venne lanciato, poco o nulla è mutato; anzi, forse le cose sono perfino peggiorate.
    I numeri spiegano forse meglio di ogni discorso; dietro quei numeri, quelle cifre, ci sono storie di disperazione, emarginazione, povertà; e certo, anche crimini e spietati criminali che devono pagare, ma non per questo essere vittime di situazioni disumane come sono, e hanno diritto come tutti alla loro dignità.
    I detenuti in Italia sono 68mila circa.
    La capienza è di poco più di 44mila.
    Ci si arrangia come si può: letti a castello che sono torri, tre, quattro per cella, materassi per terra.
   Le carceri più affollate a Lametia Terme, Brescia, Busto Arsizio, Como, Ancona. Come si vede, non c'è differenza tra Nord e Sud d'Italia, in questo.
    Più di 28mila detenuti sono in attesa di giudizio; di questi più di 15mila in attesa di primo giudizio, gli altri attendono l'appello o il verdetto della Cassazione. Le statistiche dicono che la metà di questi detenuti saranno, alla fine, dichiarati innocenti. Scontano dunque una pena ingiustamente. Dramma umano a parte, irrisarcibile, i costi economici sono enormi. Per ogni giorno di detenzione ingiusta la corte d'appello può disporre un risarcimento di 235 euro.
    In carcere si muore. Dall'inizio dell'anno si sono suicidati 62 detenuti. L'ultimo il 13 dicembre a Cagliari, un algerino, si è impiccato con una corda fatta dal lenzuolo. Altri 924 detenuti hanno tentato di farlo. 5.187 si sono resi protagonisti di atti di autolesionismo. Ma si può morire anche per malattie che non vengono diagnosticate e curate a tempo, o - come si legge nel linguaggio burocratico - per cause da accertare.
   E non solo i detenuti. In dieci anni ben 85 agenti della polizia penitenziaria si sono tolti la vita.
    Diceva Voltaire che la civiltà di un paese si misura dalle sue carceri. Questa è la nostra civiltà.

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