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Dossier/appello Ong: a 5 mesi dal referendum per scongiurare una nuova guerra civile in Sudan
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di Antonella Napoli

Dossier/appello Ong: a 5 mesi dal referendum per scongiurare una nuova guerra civile in Sudan A meno di cinque mesi dal referendum per l'indipendenza del Sud Sudan, la tensione nel Paese è sempre più alta e il rischio che la situazione precipiti è sempre più alto. Mentre continuano le vessazioni e l'isolamento di 83mila profughi nel campo di Kalma, il più grande dell'area di Nyala (capitale del Sud Darfur), nei dintorni di Kass poco più a Nord si sono verificati scontri tra Rizeigat e Misseriya: un centinaio le vittime e altrettanti feriti il bilancio dell'ultima battaglia. Il conflitto tra le due tribù è ripreso la scorsa settimana dopo quasi due mesi di relativa calma, a seguito di un accordo di riconciliazione firmato dalle parti a fine giugno.
Tutto ciò a fronte di una situazione umanitaria al tracollo e all'ostruzionismo del governo sudanese nei confronti delle operazioni di aiuto, sia delle Nazioni Unite sia delle Organizzazioni non governative impegnate nella regione.
E' di pochi giorni fa l'annuncio dell'espulsione, senza un motivo dichiarato, dei direttori locali del Comitato Internazionale della Croce Rossa (Cicr) e della Fao e di due funzionari dell'Alto Commissariato per i Rifugiati (Unhcr) dalla capitale Occidentale del Darfur, Geneina.
Secondo il quotidiano sudanese indipendente Al Sahafa, la decisione sarebbe stata assunta sulla base dei 'suggerimenti' del presidente sudanese, Omar al Bashir, ai governatori delle province del Darfur di allontanare tutti gli operatori umanitari stranieri 'colpevoli' di aver violato gli accordi che regolamentano le attività di cooperazione.
Già nel marzo 2009, pochi giorni dopo l'emissione del mandato di arresto della Corte penale internazionale a carico di Bashir, per crimini di guerra e contro l'umanità, erano state cacciate dalla regione 13 ong responsabili, secondo il regime, di aver cooperato con la CPI fornendo false informazioni sulle violenze perpetrate in Darfur. A distanza di un anno, a seguito dell'implementazione delle accuse alle quali si è aggiunto anche il genocidio, è scattata la nuova azione ritorsiva del presidente sudanese.
Nel frattempo, la sofferenza umana in Darfur è più acuta che mai. Si stima che circa 4,7 milioni di persone dipendono dagli aiuti umanitari, di cui oltre 2,6 milioni ospitate nei campi profughi. Il vuoto lasciato dai cooperanti espulsi ha contribuito all'aumento dei livelli di malnutrizione, soprattutto nelle zone rurali, dove l'assistenza alla popolazione si estendeva al di là delle aree sotto la protezione della missione congiunta di peacekeeping delle Nazioni Unite e dell'Unione africana. Il continuo susseguirsi di rapimenti ha inoltre costretto molte agenzie a ridimensionare la loro presenza al di fuori delle grandi città mentre i Caschi blu, anch'essi spesso vittime di attacchi e sequestri, non riescono a garantire il controllo delle aree più interne dove sono in corso scontri tra gruppi ribelli e forze armate sudanesi. Se la crisi umanitaria in Darfur resta gravissima, nel Sudan meridionale la situazione non appare molto diversa. E l'avvicinarsi del referendum fa crescere i timori degli osservatori internazionali che ritengono possibile il riaccendersi del conflitto civile se venisse boicottato l'imminente appuntamento elettorale, condizione inderogabile dell'Accordo di pace del 2005 che sancì la fine dell'ultra ventennale guerra tra Nord e Su.
Per scongiurare la ripresa della violenza, una coalizione di 25 organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani ha avviato una serie di iniziative per tenere alta l'attenzione della comunità internazionale sul Sudan. La campagna Sudan365, di cui è promotrice anche "Italians for Darfur", è culminata con la presentazione di un dettagliato rapporto sulla situazione nel Paese.
Gli attivisti, dall'Africa al Medio Oriente e dall'Europa agli Stati Uniti, chiedono un'azione urgente per prevenire irregolarità e abusi dei diritti umani in occasione del voto che potrebbe determinare la scissione del Sud Sudan da Khartoum.
Il dossier evidenzia quanto denunciato dal Sudan People's Liberation Movement (SPLM), ovvero che sarebbe in atto un tentativo di far deragliare, a meno che la commissione elettorale non risolva in tempi molto rapidi una controversia interna, quello che potrebbe essere il più importante appuntamento nella storia moderna del più grande Stato africano.
In contemporanea al referendum sull'indipendenza del Sud anche Abyei, area ricca di giacimenti di petrolio attualmente sotto il controllo di Khartoum, sarà chiamata a decidere se unirsi o meno al Sudan meridionale.
Gli analisti del dossier sostengono che a poco più di 5 mesi dal 9 gennaio 2011, data in cui sono previsti i referendum, il periodo che precede il voto e l'esito delle consultazioni debba essere gestito con estrema attenzione. Ed è per questo che, secondo la coalizione promotrice della campagna per il mantenimento degli impegni di pace, i paesi Garanti del Comprehensive peace agreement - tra cui l'Italia - abbiano la responsabilità e la capacità di supportare il Sudan nell'attuazione del CPA, prevenendo potenziali conflitti futuri e favorendo il raggiungimento di patti inerenti temi sensibili quali la demarcazione dei confini e lo sfruttamento delle risorse petrolifere.
La speranza degli osservatori internazionali e degli attivisti è che l'esperienza fallimentare degli ultimi anni, che ha dimostrato quanto possa essere dannoso concentrarsi su una sola parte del Sudan a discapito di un'altra, scoraggi coloro che vorrebbero continuare a focalizzare l'attenzione sul processo di definizione dell'accordo di pace senza tenere conto delle situazioni ancora non definite nelle altre aree in conflitto nel Paese affrontando questa delicatissima fase nella sua complessità. E' l'unica chance per evitare che il Sudan precipiti in un baratro di nuove violenze e di sangue.

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