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Articolo 21 - ESTERI
Darfur, sit-in al Colosseo per denunciare: il Sudan precipita di nuovo nella guerra
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di Antonella Napoli*

Darfur, sit-in al Colosseo per denunciare: il Sudan precipita di nuovo nella guerra Il successo di un progetto che aveva ridato una ‘vita’ normale a migliaia di profughi del Darfur aveva animato una flebile speranza: qualcosa nella regione martoriata da una guerra civile iniziata nel 2003 stava cambiando. Un milione di sfollati aveva lasciato i campi profughi, che li avevano accolti  dopo la fuga dagli scontri e dai bombardamenti, per far rientro nei villaggi di  origine.
Ed è per questo che, nella Giornata mondiale del rifugiato, fa ancora più male denunciare che quei bombardamenti e quegli scontri, nelle ultime settimane,  siano ripresi su larga scala in tutto il Sudan occidentale e meridionale allontanano quella speranza e vanificano gli sforzi di quanti lavorano per  trovare una soluzione a questa crisi umanitaria ormai incancrenita.   
Solo pochi mesi fa i vertici della missione congiunta Nazioni Unite - Unione Africana dispiegata nella regione sudanese avevano definito il conflitto a  ’bassa intensità’, evidenziando che quella in Darfur era una guerra di tutti contro tutti: le forze armate governative che si scontravano con i movimenti  ribelli; gruppi armati di banditi e di predoni che lottavano tra loro e contro  le milizie filo governative. Ma le vittime civili erano diminuite.
     
Quelle informazioni tracciavano un quadro della crisi ridimensionato. Ma chi era sul campo sapeva che non era così. Soprattutto a causa del peggioramento dell’emergenza umanitaria determinato dalla decisione del regime di Khartoum di espellere 13 organizzazioni non governative accusate di aver “inventato” le
notizie fornite alla Corte penale internazionale che aveva spiccato un mandato di arresto nei confronti del presidente del Sudan, Omar Hassan al Bashir, per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio.
La mancata sostituzione di queste ong ha causato l’interruzione del flusso di aiuti e dei servizi agli sfollati per lungo tempo e ha portato la crisi molto vicino alla catastrofe.

Come abbiamo avuto modo di denunciare a più riprese noi di ‘Italians for Darfur’, rilanciando le informazioni del Coordinamento degli aiuti umanitari in Darfur delle Nazioni Unite, la situazione umanitaria è ormai al collasso.
Le condizioni di vita degli sfollati assistiti nei campi profughi sono
notevolmente peggiorate. Il governo sudanese si era impegnato a fare entrare nuove organizzazioni nel Paese in grado di garantire le stesse capacità di aiuto delle precedenti, ma finora non ha onorato questo impegno e al momento possono operare esclusivamente cooperanti locali e poche altre ong che non riescono a far fronte ai bisogni di tutta la popolazione.                  
Stando a un recente rapporto dell'Onu, l'espulsione di Oxfam, Care
International, Medici senza frontiere e Save the Children, ha determinato la sospensione di programmi speciali di alimentazione destinati a migliaia di bambini affetti da grave malnutrizione e alle donne in stato di gravidanza e ha messo a rischio anche le cure sanitarie e i ripari per centinaia di migliaia di persone.
               
Se Khartoum e le Nazioni Unite non riusciranno a colmare al più presto tali lacune le condizioni di vita di un milione e ottocentomila persone dipendenti dagli aiuti alimentari si deterioreranno ulteriormente.
La situazione si aggrava di giorno in giorno. Si susseguono segnalazioni di attacchi sia nell’area ad est di Nyala, capitale del Sud Darfur, sia nel Nord,  nei dintorni di Al Fasher e ai confini con il Sud Kordofan oltre che ad Abyei, l'area ricchissima di petrolio contesa tra Nord e Sud Sudan che si appresta a proclamare l'indipendenza.
Gli operatori umanitari e gli osservatori Onu non possono fornire dettagli sul numero esatto di vittime e sulla portata dei danni perché gli è stato interdetto l’accesso a queste zone. Ed è proprio su tale aspetto che va posto l’accento: la comunità internazionale dovrebbe pretendere la fine delle limitazioni dell’ambito di movimento del contingente Onu – UA dispiegato in Sudan, che oltre
a garantire assistenza dovrebbe proteggere la popolazione del Darfur con  operazioni di peacekeeping. E invece dal 1° gennaio 2008, data in cui è partita ufficialmente la missione dei caschi blu, dei 26mila uomini previsti sono arrivati ad Al Fasher, cuore del comando dell’Unamid, meno di 13mila militari - per lo più asiatici e africani - che si sono affiancati ai 7mila caschi verdi dell’Unione africana che dal 2004 avrebbero dovuto assicurare il controllo dell’area in conflitto. Cosa che non sono mai riusciti a garantire.
I massacri sono continuati. Attualmente si stimano (fonte Onu) circa 300 mila morti e quasi due milioni di rifugiati.
  
E’ dunque chiaro che il contingente autorizzato dalla risoluzione approvata  all'unanimità dal Palazzo di Vetro nel 2007, e che dovrebbe essere rinnovata a fine luglio, è rappresentata da una parodia, una farsa mediatica che ha visto semplicemente i caschi verdi dell’Ua indossare quelli blu dell’Onu.         
A tutto ciò va aggiunto che mancano gli elicotteri indispensabili per la perlustrazione dell’area in conflitto, grande quattro volte l’Italia. Insomma il  fallimento di questa missione si sta consumando nell’indifferenza di tutti, mentre l'attenzione internazionale è diretta altrove.  
Per denunciare tutto questo e per chiedere che si prestasse maggiore attenzione al Sudan, domenica 19 giugno abbiamo organizzato insieme alla Comunità del Darfur in Italia, e con lo straordinario supporto di sempre di Articolo 21, un sit-in al Colosseo, monumento simbolo dei diritti umani.

Oltre ai messaggi di sostegno dal mondo della società civile e dalle
istituzioni, tra cui i presidenti di Camera e Senato, è stata riconosciuta alla nostra associazione la medaglia di Rappresentanza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per la mostra "Volti e colori del Darfur" allestita in piazza Clivio di Acilio. La speranza di tutti noi era che si accendessero i riflettori su questa tragedia, troppo spesso dimenticata e che sembra non avere mai fine.

Grazie ai pochi 'baluardi' di informazione su questi temi, con la diretta di Rai News e il servizio sul sit-in al Colosseo nell'edizione della notte del tg3, in parte è stato così. Ma l'azione di centinaia di profughi, che stringevano al petto le foto dei loro familiari massacrati nel conflitto e che urlavano la loro sete di pace e giustizia, è letteralmente 'scomparsa' a fronte della presenza di una star...  Ben venga la visita di Angelina Jolie che scatena l'interesse dei grandi media e, di riflesso, fa parlare dell'Alto commissariato per i rifugiati. Ma, scusate l'amarezza, continuo a chiedermi se la disperazione e la rabbia di chi ha vissuto sulla propria pelle, e ancora paga una tragedia immensa come quella del Darfur, valga meno di una passeggiata di dieci minuti e qualche parola di circostanza. di domani. Va anche bene, fino a quando si parla di rifugiati. Peccato che così, ancora una volta, il dramma senza fine della gente del Darfur - che continua a essere massacrata anche in queste ore impunemente - continua a raccogliere le briciole mediatiche che la sottoscritta e qualche altro disgraziato 'don chisiotte' cerca di racimolare a fatica.
Va anche bene, fino a quando si parla del problema. Peccato che così, ancora una volta, il dramma senza fine della gente del Darfur - che continua a essere massacrata anche in queste ore impunemente - raccolga le briciole mediatiche che qualche 'don chisiotte' cerca, ogni volta, di racimolare a fatica.


*Giornalista e presidente di Italians for Darfur

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