Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - INTERNI
Quando la magistratura e' rock
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Samanta Di Persio

Quando la magistratura e' rock

Gennaro, Vanessa, Maria Michela, Sonia, Giuseppe, Massimo e Fabrizio sono i componenti della band “Le storie infinite”, fin qui nulla di strano, nomi comuni. Gli “atipici sono”: il giudice Massimo De Cesare ed il magistrato Gennaro Varone (nella foto). Sono insieme da circa un anno, cantano, si divertono e devolvono gli incassi in beneficienza. Il 17 dicembre si sono esibiti a L’Aquila e l’incasso è stato donato all’associazione Humanitas che si occupa della prevenzione di malattie oncologiche. Varone ha una duplice veste: cantautore e chitarrista. I suoi testi son il frutto di spunti dall’attualità, ma anche dal passato. Ha accettato di rispondere a questa intervista nella sua duplice veste di magistrato/cantante:

Immagino che sia nata prima la vocazione per la musica e poi per la magistratura, come ha scoperto queste sue attitudini?
L’attitudine per la musica, grazie ai miei genitori, che amavano la musica classica; Rossini e Chopin, in particolare. Quando avevo dodici anni, mia zia mi regalò un organo-giocattolo “Bontempi”, ed io stupii tutti eseguendovi la Marcia Turca di Mozart (che ascoltavo nel programma televisivo “Oggi le comiche”). In seguito, mia madre mi fece studiare pianoforte. Da allora non ho mai smesso di suonare, né di ascoltare musica di ogni genere.
Il mio mestiere ho imparato ad esercitarlo... esercitandolo.
Il senso di giustizia mi deriva da una profonda acquisizione ed elaborazione del concetto di eguaglianza tra gli uomini, che devo, ancora una volta, ai miei genitori, mirabilmente espresso dall’articolo 3 della nostra Costituzione. Ricordo ancora quanto rimasi illuminato da un magistrale intervento, sul punto, di un docente all’università di Bari, durante uno dei primi giorni del mio primo anno accademico.

In questi ultimi anni abbiamo sentito la parola magistratura associata al colore rosso, come “difende” la sua categoria?
Non credo che la mia categoria debba essere “difesa”. Per due ragioni. La prima. I magistrati italiani si sono distinti, sempre, per il loro impegno a garanzia dei diritti; se posso ricordarlo, sin dai tempi del delitto Matteotti, quando il giudice istruttore Mauro Del Giudice svelò, con una coraggiosa e caparbia indagine giudiziaria, tutti i retroscena di quel crimine; sino a sfiorare l’incriminazione di Mussolini (ottenendo, in cambio una ‘promozione’ che lo trasferì da Roma a Catania). La toga dei magistrati italiani è nera; oppure, se rossa, soltanto per il sangue versato: e mi riferisco a quei magistrati che hanno pagato (caso unico nel mondo occidentale) addirittura con la vita, come tutti dovremmo ricordare, il loro impegno lavorativo. Le accuse di essere “rossi” le considero una pretestuosa ed offensiva reazione di chi è insofferente al controllo di legalità.
La seconda ragione: i magistrati che tradiscono la loro funzione e le aspettative che noi tutti riponiamo in loro (la cronaca, ogni tanto, ne addita qualcuno) non meritano alcuna difesa.

La sua è una musica impegnata, mi ha colpita una canzone dedicata alla resistenza partigiana, si può coniugare musica e giustizia?
Non potrebbe essere diversamente, dal momento che è lo stesso uomo ad interpretare, con lo stesso impegno ed energia, l’una e l’altra. La musica è bisogno di sentire e trasmettere emozioni. E, dal momento che l’«uomo nobilita il lavoro» e, non il contrario, ogni lavoro richiede impegno e passione.

Lei si è occupato di inchieste importanti in Abruzzo che hanno messo in luce i comportamenti illeciti di esponenti politici. Dopo le tristi stagioni del terrorismo, delle corruzioni a molti livelli istituzionali, pensa che oggi stiamo vivendo la fase due di mani pulite?
Credo che la corruzione sia divenuta una pratica molto più raffinata, che non in passato; che oggi gli scambi illeciti abbiano trovato forme nuove e più difficili da provare, come le indagini svolte, a mio avviso, dimostrano (anche se, sul punto, attendiamo -tutti- le sentenze dei giudici); che, oggi più di ieri, ciò dipenda da un imbarbarimento dell’etica nelle relazioni sociali e da una esasperazione delle forme di egoismo ed individualismo; ma anche da un decadimento dei “modelli” culturali di riferimento. Certo, quando non si fa che ripetere che i magistrati sono criminali, o che agiscono senza prove; quando si propagandano leggi per limitarne le facoltà; ebbene, è difficile attendersi che il singolo ‘socio’ di questa nostra grande comunità sia spronato ad essere rispettoso delle leggi. Poi, ci sono anche cause storiche, ma l’analisi sarebbe troppo lunga.

Oggi il cittadino è molto più vicino ai magistrati rispetto a qualche decennio fa, secondo lei perché non vedono equità, giustizia sociale da parte della classe politica e quindi si aspettano una risposta da voi magistrati?
A me sembra che, in genere, si abbia un sentimento ambivalente verso la giustizia. La si desidera, per reazione ai soprusi (che si subiscono o si notano nel quotidiano); ma ci si attende che siano ‘altri’ (innanzitutto, i magistrati) a farla, miracolosamente; come se ciò fosse possibile senza la partecipazione di chi vede e sa. E’, invero, molto raro trovare collaborazioni: per timori (spesso infondati, ma qualche volta fondati) di ritorsioni, o (più frequentemente) per malinteso senso di solidarietà tra ‘pari’.
Credo anche che molti di noi preferiscano cercare privilegi, piuttosto che esercitare diritti: per l’impoverimento dell’etica e dei modelli educativi di cui dicevo prima.

Secondo lei oggi abbiamo un impianto di regole processuali inidoneo a rispondere all’esigenza di giustizia? Qual è la sua proposta?
Il nostro sistema di regole (processuali e sostanziali) rende davvero difficile pervenire (mi riferisco ai casi complessi: ma va tenuto conto che, con l’esplosione delle comunicazioni a distanza ed il conseguente aumento di ‘velocità’ delle relazioni umane, molti casi giudiziari divengono ‘complessi’) ad una sentenza di accertamento in tempi brevi. Fare una proposta richiederebbe una lunga spiegazione delle cause, per arrivare alle possibili soluzioni. In sintesi posso dire che (in fine ‘dei conti’ e secondo me) non si tratta di ‘tecnica’ della legislazione; ma di volontà politica (dei nostri rappresentanti in Parlamento) di raggiungere un obiettivo, piuttosto che un altro. Stiamo a vedere che cosa accadrà.

Il prossimo progetto musicale?
Abbiamo parlato più di giustizia, che di musica ... Allora diciamo: dulcis in fundo ... Il progetto musicale è il disco, che io ed i miei amici di band abbiamo appena finito di registrare; e che sarà pubblicato a febbraio dalla Twelve Records, una etichetta musicale che ha creduto in noi. Si intitolerà “Sognare le cose impossibili”: un po’ il leitmotiv della nostra ‘avventura’ musicale (nata per caso), della nostra scommessa sul talento di raccogliere intorno a noi bellezza e positività; ed anche del modo in cui (io credo) debba essere concepita la nostra esistenza.


Letto 4727 volte
Dalla rete di Articolo 21