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di Giorgio Santelli
Quanto ci vorrà prima che un sussulto di orgoglio colpisca tutte le maestranze della Rai, dai giornalisti fino all’ultimo dei programmisti registi, passando per dirigenti, funzionari, precari e collaboratori? Dopo che da Palazzo Grazioli è stato detto che in Rai si entra per essere o comunisti o puttane, quanto ci vorrà ancora prima che vi sia davvero uno sberleffo e una grande manifestazione di rivolta contro chi sta affossando l’azienda?
Quanto ci vorrà, ancora, prima che i tentennamenti, i giochi di posizione, i tatticismi tesi alla conservazione di posizioni siano abbandonati per rialzare la testa e affermare che della più grande azienda culturale italiana non si può fare carta straccia?
Quanto ci vorrà, ancora, prima che non si dica all’unisono, da tutte le esperienze culturali che non si riconoscono in questa maggioranza, che serve una grande iniziativa unitaria a salvaguardia del servizio pubblico?
Troppo, perché nonostante le nomine di oggi, nonostante sia già pronto il canovaccio per quelle che avverranno subito dopo le elezioni europee, si sentono solo voci distorte e non unitarie. Negli ultimi tempi, per un motivo o per l’altro, dall’allontanamento di Vauro da Annozero allo scomparire di temi scomodi dal servizio pubblico, sono state tentate manifestazioni di protesta che hanno visto la partecipazione di gruppuscoli sotto il cavallo di Viale Mazzini o davanti a Saxa Rubra.
L’idea di metterci un piccolo marchio è stata più forte della volontà unitaria. Ma, sino ad oggi, l’allarme democratico lanciato da Articolo 21 e da chi, come Oscar Luigi Scalfaro che difende dall’alto dei suoi 90 anni l’articolo 21 della Costituzione, viene solo ripreso, annunciato, proclamato, apprezzato, condiviso, senza però produrre una grande iniziativa pubblica di protesta.
Il cavallo da sofferente sta diventando morente. Sembrano tutti predisposti più all’estrema unzione che alla cura.
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