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Articolo 21 - Editoriali
Verso il 19: fra diritti dei cittadini e volgaritĂ  della politica
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di Giorgio Tonelli*

C’ è veramente qualcosa di nuovo  nelle redazioni, se anche colleghi miti e per anni disinteressati alle annose questioni legate alla libertà di informazione e al conflitto di interessi, improvvisamente si sentono come risvegliati da un lungo torpore. E’ un risveglio sottotraccia. Una piccola fiammella di dignità.   Senza clamori eccessivi. Le ristrutturazioni aziendali sono pesanti e c’è evidentemente la paura di finire in qualche lista di proscrizione. Però c’è anche la consapevolezza che solo una risposta forte, determinata, di sindacati e associazioni  può consentire una inversione di marcia a quelle che l’Ucsi, Unione cattolica stampa italiana, definisce “giornate orribili per il giornalismo italiano”.
I giornalisti non ci stanno ad accettare interventi diretti a limitare la loro autonomia professionale, a vedere querele milionarie che mettono a rischio aziende editoriali, ad essere definiti “al 90% cattocomunismi”, ad usare le informazioni come manganelli, né a farsi mettere l’elmetto in testa. L’un contro l’altro armati.
Purtroppo, sempre più (come scrive l’Ucsi nazionale) “si usano i giornali come strumenti di lotta politica e come pugnali per colpire alla schiena gli avversari del momento”. La stragrande maggioranza dei giornalisti vorrebbe, semplicemente, continuare a fare il proprio mestiere che significa verifica delle fonti, rispetto della dignità della persona, diritto ad informare e per i lettori e i telespettatori ad essere correttamente informati.
Gli interrogativi pesanti posti dall’Azione Cattolica, le adesioni convinte alla manifestazione del 19 settembre non solo di Ordine ed Fnsi ma anche di  grandi associazioni come le Acli o la Cgil, evidenziano, forse per la prima volta, lo stato di  preoccupazione che c’è nel Paese attorno a queste questioni, un tempo perlopiù relegate agli addetti ai lavori.
C’è infine un ulteriore aspetto che deve essere considerato: il futuro del servizio pubblico nelle testate nazionali e nelle sedi regionali. Scriveva, anni fa, il compianto Federico Scianò “Il padrone del servizio pubblico non sono i partiti, non è il governo, non è il parlamento. E’ lo Stato, che è insieme governo, parlamento, partiti, società, cittadini. Quando non è così è un abuso”. E’ facile constatare come in questi ultimi tempi il rapporto del premier col servizio pubblico sia stato improntato ad un maggior controllo diretto: “che aria si respira in Rai con i direttori che ho fatto io?”. Un premier sempre più imitato  dai suoi  epigoni (non necessariamente dello stesso partito o coalizione). I vizi come le virtù in genere si distribuiscono equamente.
E la lotta politica nella modernità è anche e soprattutto lotta per il comando dei media e della televisione in particolare.  E’ una lotta senza quartiere, che vede impegnati non solo politici di razza, ma anche presidenti di Regione e perfino sindaci presuntuosi e arroganti (ma con importanti amici nelle maggiori cariche istituzionali). Chiedono, comandano, impongono, abituati  a trattare gli operatori della comunicazione sempre più come loro camerieri. E a poco servono i giusti richiami alla “schiena dritta”, se il rischio concreto di chi fa oggi soprattutto  Tv nel servizio pubblico è di essere poi sottoutilizzati, relegati a mansioni marginali o peggio. Anche questa è volgarità. Della politica. Magari invisibile agli occhi dei più.

*già segretario nazionale Ucsi                                                

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