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Articolo 21 - Editoriali
L’Italia delle carceri: tra i suicidi per disperazione e l’amnistia di classe
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di Valter Vecellio

Il Capo del Dap Franco Ionta è stato sentito ieri dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario, sul problema della sanità penitenziaria, in particolare sul problema dei suicidi in carcere. Ha detto che 58 detenuti si sono tolti la vita nel corso del 2009. E’ sempre una cifra enorme, ma in realtà sono molti di più, almeno 72, come ha osservato l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere.
   Il fatto è che per il Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria un detenuto che si impicca in cella, viene soccorso mentre è ancora in vita, ma poi muore durante il trasporto all’ospedale, o anche alcuni giorni dopo il ricovero senza riprendere conoscenza, non rientra nelle statistiche dei suicidi ma in quelle dei tentati suicidi; statistiche che non a caso fanno registrare numeri elevatissimi: oltre 800 nell’ultimo anno. Un detenuto che si impicca in cella e muore in autoambulanza o dopo il ricovero nel reparto di rianimazione evidentemente è un suicida in carcere a tutti gli effetti. Però non viene inserito nell’elenco ministeriale dei suicidi. “Trucchi” e magheggi che lasciano il tempo che trovano.  
   Ad ogni modo, al 5 febbraio siamo arrivati già a sette detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno. L’ultimo, si è impiccato nel reparto infermeria del carcere di Spoleto, un ragazzo di 29 anni. Era stato arrestato lo scorso 16 gennaio per reati di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Per quanto si può essere condannati, per reati del genere? E tuttavia per questo ragazzo la detenzione, anche se breve, è apparsa insopportabile, più insopportabile della stessa morte. Giusto qualche giorno fa presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si è tenuta una riunione, presieduta dal capo del Dap, Franco Ionta, con all’ordine del giorno il rischio suicidi nelle carceri italiane. Si è deciso di impartire a breve delle direttive affinché si possa offrire maggiore assistenza psicologica ai detenuti che ricevono in carcere notizie negative quali, ad esempio, malattie di familiari, separazioni matrimoniali, oppure condanne definitive. Già, ma per attuare queste direttive, occorrerebbe personale competente e adeguato; mentre invece i già scarsi organici vengono ulteriormente ridotti.
   I termini della questione sono di una evidenza che solo chi decide di chiudere gli occhi non vede. Le nostre carceri ospitano oltre 66mila persone a fronte di una capienza massima di 43mila. Il numero dei suicidi e dei tentati suicidi aumenta proporzionalmente alla crescita del sovraffollamento. Le strutture penitenziarie sono degradate e fatiscenti. Non per un caso la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per le condizioni di detenzione inumane e degradanti.
   L’articolo 580 del codice penale dice che va ritenuto responsabile di istigazione al suicidio chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio; ovvero chi ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione. Se il suicidio avviene, chi viene ritenuto responsabile di questa istigazione va condannato con una pena dai cinque ai dodici anni. Lo Stato italiano, il ministero della Giustizia, dovrebbero essere condannati a vita…
   Dai nostri cugini d’oltralpe, da quel presidente francese Nicholas Sarkozy che non è certo né radicale né di sinistra, arriva un’indicazione che non sarebbe male venisse raccolta anche da noi. Parigi infatti ha scelto un ex detenuto per guidare una missione che renda più umane le sue prigioni. Si tratta di Pierre Botton, ex uomo d’affari che, negli anni Novanta, fu uno dei detenuti più mediatici di Francia, finito in prigione per ricettazione.
   Botton è stato condannato due volte per aver finanziato illegalmente la campagna elettorale del suocero, l’ex sindaco di Lione, Michel Noir, e ha trascorso 20 mesi dietro le sbarre, in ben sette prigioni diverse. Nel 1992, mentre era detenuto alla prigione di Nanterre, nei pressi di Parigi, aveva tentato di togliersi la vita.
   Botton comincia proprio dal carcere di Nanterre, come responsabile di uno studio contro lo shock vissuto dai detenuti nei primi giorni di carcere. Secondo l’INED, un istituto di studi francese, un quarto dei suicidi in prigione avviene nei primi due mesi di detenzione. Anche in Francia il fenomeno dei suicidi in carcere è drammatico, addirittura più che in Italia: nel 2009 si sono uccisi 115 detenuti, 109 nel 2008. Una situazione, dice Botton, provocata da sovraffollamento, mancanza di personale (di sorveglianza, ma anche medici e lavoratori sociali),e l’eccesso di misure "controproducenti": per esempio, ormai ai carcerati francesi viene consegnato un "kit di protezione" che dovrebbe rendere più difficile il passare all’atto suicida, come materassi anti-fuoco, lenzuola che non si strappano, pigiama di carta. Ma non si fa nulla, dice sempre Botton, per ridare "la voglia di vivere" a chi si trova messo a confronto con la violenza dell’incarcerazione. Un quarto dei suicidi è concentrato nei primi due mesi di imprigionamento.
   Forse dovremmo trovare un Botton anche in Italia.
Il ministro della Giustizia, intervenuto alla Camera durante il dibattito sullo stato della Giustizia, ha riferito che a oggi risultano pendenti 5.625.057 procedimenti civili, con un aumento del 3 per cento rispetto al 2008; 3.270.979 procedimenti penali, con una riduzione modesta rispetto all'anno precedente; 65.067 detenuti reclusi in 204 strutture penitenziarie; 20.959 minorenni sono segnalati dall'autorità giudiziaria minorile agli uffici di servizio sociale per i minorenni. Pensate ogni anno si effettuano 28 milioni di notifiche manuali ogni anno, 112 mila al giorno. Ogni anno vengono spesi 80 milioni di euro ogni anno per dichiarare prescritti 170 mila processi, 465 al giorno, festivi compresi. Oltre 30 mila cittadini hanno chiesto di essere indennizzati a causa dell'irragionevole durata del processo, ottenendo decine di milioni di euro di risarcimenti, con un trend di crescita delle richieste pari al 40 per cento l'anno. La giustizia costa 8 miliardi di euro l'anno, cioè circa 30 milioni di euro per ogni giornata lavorativa.
   Cifre che documentano un letterale fallimento. Una situazione cronica, che richiede interventi urgenti e coraggiosi. Tra le varie cifre di questo sfascio, Alfano ha riferito quelle relative alla prescrizione: 170mila processi che – letteralmente, ogni anno, vanno a puttane, 465 ogni giorno domeniche e feste comprese.
   C’è da giurare che quei 170mila processi prescritti, 465 processi ogni giorno, non sono quelli che vedono imputato un tossicodipendente o un extracomunitario. C’è da giurare che tanti di quei 170mila processi vedono imputati che si possono permettere avvocati con buone amicizie e capaci di escogitare sistemi e scappatoie, per cui il processo si blocca fino alla prescrizione.    
   La quotidiana amnistia, insomma, di massa e di classe. Lo dice il ministro della Giustizia: 170mila processi prescritti, 465 processi ogni giorno, domeniche e feste comprese. Marco Pannella, è in sciopero della fame anche per affermare e far conoscere questa verità, questa realtà. Credo che dovremmo trovare il modo di sostenerlo in questa giusta e sacrosanta lotta.

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