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Le ragioni di un Satyagraha
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di Gian Mario Gillio

Le ragioni di un Satyagraha

Quali sono i motivi che la spingono a un nuovo sciopero della fame e della sete?
“Innanzitutto vorrei partire da alcune premesse. Nel 1978, per paura della nostra campagna e dei referendum che avevamo proposto, il Parlamento fece passare la legge 194 sull’aborto e noi radicali votammo contro per via dei suoi aspetti statalisti che prevedevano solamente la la sanità pubblica e obiettori di coscienza interni. Poi la chiusura dei ghetti manicomiali, sempre nello stesso anno. Anche in questo caso venne approvata una legge e votammo contro, ma non perché non l’approvassimo. Erano iniziative nostre, ma il Parlamento per evitare che si potessero approvare tramite referendum, preferiva farle approvare per legge modificandone però alcuni impianti per noi dirimenti. Per ben cinque volte, per impedire la tenuta dei referendum (la legge definiva che non ci potessero essere nello stesso anno referendum ed elezioni politiche), si sono concluse le legislature in modo anticipato. Ma, passate le elezioni, avveniva che le leggi venissero approvate prima di andare al voto referendario, dunque approvate ma in modo meno radicalmente chiaro di come noi avremmo voluto. Tuttavia riuscimmo a far ottenere il nuovo diritto di famiglia, a parte il fatto creativo che ebbe il divorzio…l’aborto venne approvato da DC e PCI e come dicevo, noi votammo contro, proprio perché per noi era fondamentale affidare al popolo, con il referendum, la decisione su un tema così importante. Poi ricordo il voto ai diciottenni…ormai l’obiettivo referendario comporta sempre più la difesa giuridica del referendum stesso.

Altrimenti si parla di piccoli plebisciti, proprio per come è avvenuto per la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, che vide un impegno massiccio per l’astensione (che nel 2005 fece mancare il quorum e quindi fallire il referendum), invece di poter decidere per un sì o per un no.
Per venire alla domanda, il mio Satyagraha ha molti obiettivi e tutti legati in modo non artificioso alle battaglie che oggi si presentano. Il mio Satyagraha, amore e forza, ha l’obiettivo di far emergere la verità. Naturalmente non una verità con la V maiuscola. Il primo punto riguarda il fatto che le elezioni in Italia sono illegali secondo gli standard internazionali. La legalità, dunque. Noi siamo sempre stati coerenti e da trent’anni abbiamo cercato di dimostrare come devono essere raccolte le firme, come deve maturare una consapevolezza, un confronto. Prendiamo ad esempio l’eutanasia: in Italia da trent’anni i sondaggi ci dono che gli italiani sono favorevoli, così come per il testamento biologico. Ma su questi temi non si è mai arrivati a un referendum popolare. L’altro mio obiettivo riguarda un’altra verità storica. La guerra in Irak del 2003 è scoppiata per colpa di due traditori dei propri giuramenti rispetto ai propri paesi, come Blair e Bush. Si sarebbe riusciti, secondo il nostro programma, con e grazie alla pace ad arrivare alla democratizzazione grazie all’esilio di Saddam Hussein; esilio che lui avrebbe accettato. Quella guerra che ha provocato centinaia di migliaia di morti, direi due milioni, si poteva evitare. Va avanti dunque quell’analfabetismo che vede oggi la Libia sotto attacco. Una consapevolezza che oggi vedo anche in Obama, anche se mi impressiona molto il fatto che negli ultimi discorsi, per la prima volta il presidente americano abbia citato per ben tre volte la parola nonviolenza.

L’altro tema che ho a cuore è quello delle carceri italiane e della giustizia, una giustizia più repellente di quella del sessantennio partitocratrico e del ventennio precedente. Le caratteristiche ideologiche di banalità del male oggi sono tremende, sono dei veri e propri nuclei di Shoah. E non abbiamo torturatori, siamo tutti torturati, al limite possiamo usare l’interpretazione di Anna Harendt, sul personaggio atroce che si giudicava. Sei anni fa abbiamo cominciato a denunciare questa deriva con l’esposizione di una stella gialla sui nostri petti come monito. La democrazia è sempre più rovinosamente “democrazia reale” in Israele, in Italia e credo – e questo mi spaventa – anche in Inghilterra e Stati Uniti. La maggioranza dei conservatori che oggi governano, a parte i liberaldemocratici, marginali, continuano a difendere la ragion di Stato invece del senso dello Stato coprendo tutto ciò che viene nascosto negli archivi, compresa la prova che Bush è stato un traditore”.

 

Per quanto riguarda le carceri, qual è a suo avviso una possibile soluzione al sovraffollamento e ai suicidi?

“Semplicemente rispettare la legge. Dirò di più: rispettare ciò che è stabilito dalla legge europea. Per esempio la metratura delle celle per densità di detenuti, e la legge italiana sarebbe pure più tollerante in materia di metri cubi da destinare a ogni singolo carcerato. Ancora: un buon terzo di detenuti probabilmente tra qualche anno uscirà da innocenti perché così ritenuti alla fine del processo; dunque sarebbe necessario abolire il carcere preventivo. Prosegue la criminalizzazione di comportamenti sociali diffusi come l’utilizzo di sostanze stupefacenti, facendo prevalere l’idea di un flagello; sull’aborto, noi rischiando, dicemmo che il flagello sociale era l’aborto clandestino, come sosteneva l’Organizzazione Mondiale della Sanità; e in tre anni siamo riusciti a far diminuire sensibilmente questa tragedia sociale storica. Il proibizionismo sulle droghe, in tutto il mondo, in Afghanistan, in Messico, in Italia, crea danni visibili a tutti”.

 

Che cosa mi può dire dei diecimila detenuti in carcere per reato di clandestinità?
“Su questo tema siamo in aperto dibattito anche con la vicina Francia. Ci troviamo di nuovo contro la legge, contro la legalità internazionale. Come radicali stiamo chiedendo da tempo di monitorare con i sistemi satellitari il Mediterraneo per individuare la presenza di barche dirette in Italia che purtroppo troppo spesso non arrivano, concludendo il viaggio in fondo al mare. Questo non è mai stato fatto e noi ancora oggi non sappiamo quante decine di migliaia di persone sono sepolte in mare. Il problema delle carceri è dunque transnazionale. All’inizio del ’76 ottenemmo una legge di depenalizzazione del consumo di droghe leggere che fece uscire undicimila detenuti; oggi, se togliessimo il reato di clandestinità, oltre ad abolire una legge iniqua e illegale, risolveremmo il problema di diecimila persone che sovraffollato le nostre carceri”.

 

Il libro che le ha dedicato Valter Vecellio, “Biografia di un irregolare”, è molto interessante, forse proprio perché la sua vita è un’avventura. Fatta di incontri e di battaglie per la giustizia, per i diritti di tutte le minoranze. Molti personaggi importanti hanno detto di lei cose fuori dell’ordinario. Sartre si diceva affascinato, e Ionesco si iscrisse al Partito Radicale senza conoscerlo, sulla sua parola. Per Eco “lei ha insegnato agli italiani come si fa a diventare liberi, e soprattutto a meritarselo”. Per Montanelli lei era un figlio discolo, un giamburrasca devastatore, “ma in caso di pericolo e di carestia, Pannella sarà il primo ad accorrere in soccorso”. Su di lei si è davvero scritto e detto di tutto. Lo storico Giorgio Spini arrivò a dire: “Pannella è considerato alla stregua di un lebbroso. Sono convinto che uomini come lui siano scelti come strumenti di Dio per fare vergognare la mia Chiesa evangelica, le sue infinite mancanze di coraggio e di coerenza”. Baget Bozzo l’ha addirittura definita un “profeta cristiano”…

“La frase di Spini l’ho udita ad un convegno a Genova, poi è stata riportata negli atti dello stesso convegno, era il 1972, in occasione di un’assemblea contro il Concordato. Era il periodo in cui l’abate di San Paolo, Giovanni Franzoni era per l’abrogazione. Un’avventura, anche quella di Franzoni, davvero straordinaria. Solo dieci anni dopo la frase di Spini, che mi è stata ricordata, mi ha toccato profondamente e mi ha lusingato, all’epoca non avevo completamente colto il significato di quelle parole. Così come le parole di Baget Bozzo. In quel tempo raccoglievo adesioni emotive sia da parte cattolica che evangelica che ebraica, come avvenuto con Marek Halter. In pratica mi veniva riconosciuta la capacità di “predicare” nudo la parola, di portare un messaggio. Mi viene in mente la figura di Isaia evocata da Halter. La radicalità, e in qualche modo il fatto di essere “credenti”, ha probabilmente spinto a tali dichiarazioni. Ma a quel tempo non c’era in me la volontà, forse inconscia, di sentirmi accreditare di ruoli di tale portata come “scelto da Dio” o “profeta”.

 

Qual è la crisi che oggi attraversano i nostri partiti, così distanti dalla società civile?
“Ritengo che la classe dirigente della sinistra, tranne piccole minoranze, in cinquant’anni non abbia mai lottato davvero per la democrazia e la libertà. Dal ’47 si è assistito, quasi da subito, a una lotta tra potenti, tra ceto dirigente. Fu infatti la classe dirigente della Resistenza ad aver ereditato case e palazzi romani di splendida bellezza, così come i sindacati che ereditarono, come i partiti, gli edifici fascisti. Tutte organizzazioni del welfare senza libertà. E il fascismo fu welfare senza libertà. Bersani (con il quale ho avuto sempre un buon rapporto) e il suo partito hanno fatto errori pari a quelli di Berlusconi. Ma almeno Berlusconi partiva da una condizione che definirei di gradimento popolare. Inoltre siamo arrivati ad un livello di tale volgarità politica che non porterà a nulla di buono. La sinistra continua a sbagliare strategia e invece di attaccare su questioni palesemente criticabili, spesso tende a difendersi dalle provocazioni.
Poi dobbiamo ricordare che sociologicamente, storicamente, sono presenti ramificazioni interne anche a schieramenti diversi, così come avviene ad esempio tra Bersani e Formigoni che hanno insieme legami con la Compagnia delle Opere sia lombarde che emiliane, e questo in un certo senso li rende soci, alleati, e spiega anche il fatto che siano stati noi a dover intervenire per far emergere la “peste lombarda” per porre il problema a Formigoni sulla raccolta di firme false in occasione della sua elezione. Non lo hanno fatto, come sarebbe stato ovvio, i colleghi del PD. La storia istituzionale italiana è stata formalmente una storia di regime che si difende dal Partito Radicale, illuminista, azionista, liberale, antinazionalista… un nemico da ostacolare. Questa condizione spesso non ci permette di poter dare il contributo che vorremmo dare al nostro Paese”.

Di Gian Mario Gillio


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