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Articolo 21 - Editoriali
Molti opinionisti, ma poca "opinione pubblica"
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di Beppe Lopez*

E’ un paradosso che in Italia - dove la gran parte del giornalismo è (da sempre e sempre di più) nazionale, d’opinione e di parte, e invece il giornalismo di libera descrizione della realtà territoriale e degli eventi di cronaca, di inchiesta, di servizio e di pubblica utilità è da sempre e sempre di più marginale, quasi evanescente – si facciano battaglie e leggi perlopiù sulla spinta e per la tutela degli interessi dei giornali (e degli opinionisti) esistenti e legati all'attuale stato dei rapporto fra Palazzo e società, piuttosto che per la determinazione, finalmente, delle condizioni strutturali adatte alla nascita e allo sviluppo di un mercato dell’informazione analogo a quello esistente in tutte le democrazie occidentali.
Anche in questi mesi, per molti aspetti drammatici riguardo alla salute della democrazia, si parla molto in Italia di libertà d’opinione ma, per la verità, troppo poco o quasi niente del diritto di essere informati. Cioè si affronta il problema dei problemi di una democrazia "mediatica" dalla parte del diritto del singolo intellettuale, scrittore e giornalista (Scalfari, Santoro, Feltri, Travaglio, i vignettisti, ecc.) di poter esprimere in condizioni di autonomia la propria opinione, come prevede l’art.21 della Costituzione, piuttosto che dalla parte dei cittadini, ai quali uno Stato democratico e moderno dovrebbe assicurare la possibilità di accedere preliminarmente ad una rappresentazione mediatica della realtà elaborata in condizioni di autonomia da parte degli operatori del settori e, in aggiunta a questo e dopo questo, a opinioni di parte espresse in libertà.
Un moderno mercato dell'informazione (e delle opinioni) dovrebbe essere basato essenzialmente su:
a) imprese editoriali in libera competizione;
b) selezione meritocratica del personale giornalistico ed editoriale;
c) diffusione di una solida rete di testate (giornalistiche, televisive, radiofoniche, ecc.) liberamente impegnate sulla cronaca e sul territorio, e di abitudine di massa alla lettura e all’informazione;
d) grandi testate nazionali d’opinione e specializzate che atterrino proficuamente su questa “rete”, anziché, con gli effetti devastanti che sono sotto gli occhi di tutti, sul deserto informativo esistente.
Questi effetti devastanti - manipolazione della realtà e strumentalizzazione della rappresentazione sociale manipolata a fini politici, di abuso delle risorse pubbliche e di affari anche non leciti, ecc. – sono complessivamente sintetizzabili in una drammatica e, non a caso, offuscata realtà: IN ITALIA NON CI SONO OGGI LE CONDIZIONI CHE SOLO CONSENTONO LA LIBERA FORMAZIONE DI UNA OPINIONE PUBBLICA. Questo, ovviamente, anche per il dato di fatto della sostanziale emancipazione della nostra classe politica dal meccanismo del consenso elettorale, acquisita progressivamente attraverso una serie di comportamenti e di normative elettorali peraltro in rapporto di causa ed effetto proprio con l’assetto del sistema informativo.
Perchè il nostro Paese riesca a venir fuori da questa situazione di deformazione e quasi di sospensione della democratica, occorrerebbe almeno che si realizzassero due condizioni: 1) la praticabilità della libertà e dell'autonomia da parte delle imprese editoriali e giornalistiche; 2) il ripristino dell’effettiva efficacia del voto sulla definizione e i rapporti tra le forze politiche, e quindi sugli assetti e sul contenuto dell’azione delle istituzioni democratiche. Questa seconda condizione investe direttamente l’alta sfera del dibattito e dello scontro politico in corso. La prima, altrettanto complessa e problematica nella sua percorribilità, riguarda direttamente anche gli operatori del settore. A cominciare dai giornalisti.
Allora vale la pena di segnalare che sono state avviate in Parlamento le procedure – non a caso silenziate e ignote ai più, anche agli addetti ai lavori – nientemeno che della modifica legislativa dell’ordinamento della professione giornalistica, sulla base di una proposta transpartitica presentata il 22 aprile dai deputati Pisicchio, Zampa, Mazzuca, Pionati, Merlo, Giulietti, Rao, Salvini, Lehner e Testoni. E vale la pena, soprattutto, andare a leggere i documenti, che si spera possano attivare anche un dibattito esterno alla sede parlamentare: il testo della proposta, l’intervento del relatore, la sintesi del dibattito già avvenuto in Commissione Cultura della Camera dei Deputati e il documento di indirizzo per la riforma dell’Ordine (approvato all’unanimità dal consiglio nazionale dello stesso ordine sin dall’ottobre 2008).

(*) Segue il testo dei documenti su www.infodem.it

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