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Articolo 21 - Editoriali
L'Italia che ha scelto il modello iraniano
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di Montesquieu

E’ come se, fatte le debite differenze,  chi  assiste alle 99 frustate  , o peggio , si chiedesse se il frustato  sia  colpevole o innocente.  E ‘ come se, per dirla in termini espliciti, l’Italia avesse scelto il modello iraniano , e tutto il paese se ne  stesse , inerte e reticente , ad assistere , chiedendosi se il pestato ha qualche colpa o responsabilità. Il paragone è volutamente traumatico , perché è incomparabile la gradazione della  violenza : ma il metodo italiano di questi tempi tende ad assomigliare  ad un modello di democrazia basato sulla forza quale strumento di risoluzione dei conflitti.  Per l’ occidente politico la forza usata come regola principale e incontestata segna la fine di una democrazia , o quantomeno un campanello d’allarme che sembra suonare in  un paese di sordi.
Di fronte alla situazione di questi mesi , di fronte allo sguardo miope e attonito  che segue il dito dei singoli fatti e ignora la luna che fa da sfondo, impallidisce la realtà  che fino ad oggi sembrava  sfigurare il nostro modello istituzionale democratico : la fine , o almeno la sospensione della sovranità popolare , con il potenziale corruttivo che consegue alla  scelta dei mille parlamentari  da parte di un oligarchia; l’ipocrisia dell’ attribuzione all’elettore inconsapevole dell’elezione diretta del capo del governo ,quasi a surrogare la concreta  perdita di sovranità; la gerarchizzazione delle istituzioni in luogo della interdipendenza e del controllo reciproco tra le stesse , a vantaggio esclusivo dell’eletto dal popolo inconsapevole ; la conseguente fine della teoria  della separazione dei poteri ; quindi , il rifiuto della giustizia pubblica ,amministrata in nome del popolo , e l’assunzione della giustizia sovrana  in luogo della stessa , come ormai evidente . Un conflitto di interesse  totale , che si accetta di regolare non in via di prevenzione, creando una barriera  al suo esercizio  , ma  sulla fiducia che il titolare non ne abuserà , con  controlli  successivi affidati a lui medesimo.
Chi sono gli inerti e i reticenti? E, ancora, quali controlli sulla propria vita , ammesso che bastino , dovranno esercitare i prossimi avversari , esterni e , se ce ne saranno , interni, del capo del governo?
Sono inerti e reticenti  tutti o quasi i formatori della pubblica opinione , dagli autori dei pestaggi a chi si gira dall’altra , perché il pestaggio è forse meritato. L’ indipendenza confusa con la pratica di un’equidistanza  pregiudiziale , vale a dire con la rinuncia a giudicare.  Poi , i  partiti, da quello del capo del governo, nel quale tutto è lecito, a quelli , imperdonabili , che sulla carta lo avversano ,ma  che accettano la versione e il modello del capo del governo stesso su tutto. Che da quindici anni gli permettono di essere sempre all’attacco , con un mirabile rovesciamento delle responsabilità. Sempre più osservatori rassegnati degli eventi politici e istituzionali ,anziché antagonisti e cogestori del patrimonio istituzionale. Tutt ‘al più con qualche apparentemente deciso distinguo.  Non ci sono mai prese di distanza  definitive  di fronte a gesti irreversibili : quali quelli di  un pluri-imputato che sistema gli avversari  con l’arma dei loro quasi sempre inesistenti conti con la giustizia ufficiale , sostituiti da quella della propria supremazia istituzionale di  simbolo della sovranità popolare . Un garantista che denuncia e condanna  gli avversari  ,predica la tolleranza zero con chi non conta nulla e assolve se stesso , da sé.
Infine , le altre istituzioni , che non possono limitarsi a  cercare dentro le regole  schiantate la legittimazione e le competenze per  fermare  la vocazione e l’uso della  prepotenza come nuova chiave delle democrazia.
Almeno, così ci sembra.
 

 

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