di Debora Aru e Luca Rinaldi
“Per quanto riguarda i revisori anche questi essere immondi mi hanno fatto delle pressioni per desistere dalle denunce e fare domanda di trasferimento. Mi fanno vomitare e spero si arrivi a soluzione…. Forza ragazzi, facciamoci sentire…”. Questo commento potrebbe costare al Maresciallo Capo della Croce Rossa Italiana Vincenzo Lo Zito ben due anni di carcere. Il 12 maggio, presso il tribunale di Roma alle 10:00 ci sarà l’udienza preliminare per il rinvio a giudizio del maresciallo con l’accusa di diffamazione e calunnia con l’aggravante di aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale. I querelanti infatti sono Duilio Luttazi, Riccardo Monaco, Giuseppe Suppa, Giuseppe Bilancia, Fabio Italia, Corrado Perazzoli e Romolo Reboa, tutti componenti del Collegio dei revisori della Croce Rossa Italiana.
L’odissea di Lo Zito inizia nel 2008. Svolgendo alcune verifiche sulla documentazione amministrativo-contabile del comitato abruzzese presieduto dalla professoressa Maria Teresa Letta (sorella del braccio destro di Silvio Berlusconi, Gianni Letta, e zia del deputato PD Enrico Letta), il maresciallo della CRI avrebbe riscontrato delle anomalie di gestione. Il militare ha immediatamente provveduto a segnalare quanto rilevato ai vertici di Croce Rossa e, successivamente, alle Procure de L'Aquila e Campobasso, nonché alla Corte dei Conti. Secondo la ricostruzione del Maresciallo, il 14 marzo 2008, il Comitato Centrale della Croce Rossa Italiana, decide di inviare un’ispezione Amministrativa da parte del Collegio Unico dei Revisori dei Conti per verificare quanto da lui denunciato. Come da prassi, è stata prodotta tutta la documentazione necessaria a dimostrare le irregolarità rilevate. “Vi erano - dichiara Lo Zito - i mandati di pagamento firmati senza alcun titolo dalla Prof.ssa Maria Teresa Letta, nonostante in sede fosse sempre stata presente la figura del direttore Regionale e di un funzionario amministrativo abilitato a questa funzione”. Nel verbale delle dichiarazioni rilasciate ai Carabinieri, Lo Zito inoltre afferma: “Luttazi cercò di farmi capire di far finta di niente per non ingigantire la situazione, consigliandomi anche di farmi trasferire in una sede dove potevo stare più tranquillo”.
Il maresciallo racconta che nel visionare i documenti, i tre revisori (Luttazi, Monaco e Suppa) rilevano le anomalie denunciate, ma nel frattempo era giunta l’ora del pranzo. Luttazi viene chiamato dai colleghi per andare a mangiare. L'invito a pranzo, dichiara Lo Zito, è della stessa Letta. Fabrizio Forconi, autista dei revisori, sentito dai carabinieri a questo proposito dichiara: “Ricordo che verso le 13:00 circa accompagnai dette persone [Luttazi, Monaco e Suppa ndr] a pranzo presso un ristorante dell’Aquila. In quell’occasione vennero presso il ristorante, a bordo di un altro mezzo, anche due donne, una dimostrava circa 60 anni e l’altra 40 circa, ma non so indicare chi fossero”. Lo Zito afferma che i revisori hanno fatto ritorno presso il comitato alle 15:00 comunicandogli che, data l’ora tarda, dovevano rientrare a Roma, ma che sarebbero tornati entro pochi giorni. “A tutt’oggi –conclude lo Zito- non ho notizia del risultato dell’ispezione”.
Nell’estate dello stesso anno, il maresciallo rilascia un’intervista al blog del reporter Stefano Salvi (anch’esso querelato con l’accusa di concorso di reato), in cui racconta quanto già dichiarato ai carabinieri. Il 12 luglio del 2008 Lo Zito scrive il commento incriminato sotto il video dell’intervista e il 17 ottobre riceve la querela, non per quanto ha raccontato, bensì per le frasi utilizzate. E a querelarlo non sono stati solo i tre revisori presenti all’ispezione, ma tutto il Collegio.
La vicenda della Croce Rossa Italiana è una storia condita da nomi e cognomi che periodicamente si presentano nel panorama delle cronache italiane. Non è un caso infatti che l'avvocato Romolo Reboa, uno dei componenti del Collegio Unico dei revisori della Croce Rossa Italiana che ha querelato il Maresciallo, porti l'occhio lontano dalla querelle Lo Zito-Letta. L’avvocato si è unito ai tre colleghi nell’azione penale contro Lo Zito, pur essendo estraneo ai fatti raccontati.
Ma Reboa è coinvolto anche in un’altra vicenda: il 5 maggio è stato condannato in primo grado a un anno nel processo Laziogate. Insieme a lui sono stati condannati anche l'ex presidente della Regione Lazio, Francesco Storace (un anno e mezzo) e altre sei persone. Il reato è quello di essere entrati, nel marzo del 2005 tramite i computer di Laziomatica, nel sistema informatizzato dell'anagrafe per boicottare, attraverso la sottoscrizione di firme false, la lista Alternativa Sociale di Alessandra Mussolini nelle regionali del Lazio.
Il nome dell’avvocato Reboa porta poi dritti in Sicilia verso un'altra storia di Croce Rossa, dove si sta assistendo alla liquidazione di una società di cui Reboa è presidente del Collegio Sindacale: la Si.Se SpA (Siciliana Servizi di Emergenza), società in house della Croce Rossa Italiana (che possiede il 100% delle sue azioni) nata nel 2002 e titolare del 118 in Sicilia. Quello della Si.Se SpA si presenta come uno dei grandi giocattoli di Croce Rossa sotto stretta osservazione del Ministero dell'Economia e delle Finanze e della Corte dei Conti.
Si tratta di una gestione personalizzata e “feudale”, come hanno riportato alcuni organi di stampa locale, con il solito vizio tutto italiano dove controllati e controllori coincidono nel più classico dei disegni del conflitto d'interesse. Non è un caso infatti che gli amministratori della Si.Se. siano anche all'interno del comitato Regionale CRI siciliano.
Le ispezioni sulla Si.Se e sul sistema del 118 in Sicilia risalgono al 2006. Fu proprio il Ministero dell'Economia a puntare la lente d'ingrandimento sugli sprechi in Sicilia targati Si.Se./CRI col placet della giunta regionale. Recentemente la Corte dei conti ha contestato un danno erariale di 39 milioni di euro a tutta la giunta guidata da Salvatore Cuffaro e a sette componenti della commissione sanità dell'Assemblea Regionale Siciliana. Il fatto risale al 20 settembre 2005 quando la giunta decise di “allargare il parco ambulanze del 118, determinando un 'ingiustificato' aumento dei costi”. 64 nuove ambulanze e innalzamento da 10 a 12 soccorritori per ambulanza. Principalmente queste le decisioni dell'allora Assessore alla sanità Giovanni Pistorio (promosso Senatore al termine del mandato della giunta Cuffaro) che attirarono l'attenzione dei magistrati contabili. A indagini concluse, come si legge dagli atti, si constata come quel 118 “gonfiato” fosse in realtà necessario per fare posto a un esercito di autisti-soccorritori da piazzare in piena campagna elettorale per le regionali del 2006. La Corte dei Conti ha invitato i coinvolti a fornire giustificazioni prima di un eventuale processo.
Nel 2005 la società opera anche un'assunzione illustre: è quella di Salvatore Stefio, l'uomo rapito in Iraq con Maurizio Agliana, Umberto Cupertino e Fabrizio Quattrocchi (che fu ucciso) nel 2004. Al suo ritorno in Italia è pronto un posto in Croce Rossa in tandem con la moglie, nonostante le sue esperienze più rilevanti si ebbero presso la “Presidium”, società che si occupava di servizi di sicurezza di proprietà dello stesso Stefio e del socio Giampiero Spinelli. L'obiettivo della Presidium era la “Volontà di resistenza contro coloro che minacciano la visione occidentale di sviluppo e democrazia”. Di sicuro una buona collocazione per un personaggio che si definisce un “consulente per la sicurezza. Nazionalista e Cristiano”, di certo non un curriculum da dipendente impiegato della Croce Rossa. Arriva l'assunzione presso la struttura della Si.Se. Qualcuno parla di “assunzione clientelare” come il presidente dell'Anpas – l'associazione per la pubblica assistenza – Emilio Pomo. Successivamente Stefio verrà rinviato a giudizio presso la procura di Bari. Secondo l'accusa il nuovo dipendente crocerossino con la complicità di Giampiero Spinelli arruolò e inviò per la Presidium Corporation i tre compagni in Iraq “affinché militassero in favore di Forze armate anglo-americane, in contrapposizione a gruppi armati stranieri”. Il tutto in cambio di denaro. I giudici di Bari contestano infatti il reato di “arruolamenti o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero”. Intanto Salvatore Stefio prosegue la sua attività presso la Si.Se. e lo farà sicuramente fino alla fine del processo, ma in Croce Rossa di certi personaggi non fanno più rumore indipendentemente dalla loro storia. Basti ricordare Paolo Pizzonìa ex membro dei NAR condannato a sei anni per banda armata e altri reati, oggi braccio destro del commissario nazionale Rocca.
La Si.Se è oggi in liquidazione e dal 1 giugno dovrebbe essere sostituita dalla Seus: il rinnovo del tutto e il cambio del nulla, perché gli sprechi della Si.Se difficilmente verranno contenuti dalla nuova società che rimane un'autentica gallina dalle uova d'oro. Inoltre alla Seus si aggiungeranno alle nuove assunzioni almeno 500 dipendenti Si.Se. che passeranno automaticamente nella nuova società senza concorso pubblico inficiando così quell'obbligo di trasparenza, efficienza e legalità che dovrebbero contraddistinguere un ente come la Croce Rossa Italiana. Il personale in eccesso della Si.Se pesa sulla nuova società che dal primo giugno prenderà in mano il 118 nell'isola, così come quegli 80 milioni che il commissario nazionale della Croce Rossa Francesco Rocca si aspetta di incassare dalla regione tramite l'attuale assessore alla sanità Russo.