di Riccardo Cristiano
C'è un nome che è stato amato dagli americani e dalle destre di tutto il mondo: quello del generale Petraeus, l'eroe di tutte le ultime guerre americane, quello che ha saputo dare un senso e una logica alle improvvide avventure ordinate dal presidente che parlava con Dio (George W. Bush). Ebbene, anche lui, il grande generale David Petraeus, capo della Cia, gela gli ardimentosi repubblicani, i loro amici al governo in Israele e tutti gli altri guerrafondai: con Leon Panetta, segretario alla difesa degli Stati Uniti d'America, e i capi delle altre 15 organizzazioni di intelligence conviene nel dire ufficialmente che l'Iran non ha imboccato la strada irreversibile della costruzione dell'arma atomica, che dal 2003 il lavoro di arricchimento dell'uranio è proseguito ma non quello di costruzione di una testata nucleare.
La pesantezza dei nomi snocciolati uno in fila all'altro dal dettagliatissimo articolo del New York Times fa impressione. I dati citati dai massimi responsabili americani indicano a loro avviso che quanto dedotto nei rapporti del 2007 e del 2010 è ancora valido. Teheran non ha imboccato vie senza ritorno.
Intanto però i venti di guerra contro l'Iran stanno facendo salire alle stelle il prezzo del petrolio, giunto ora addirittura sopra i 110 dollari al barile. Quanto sia rischioso questo per l'economia mondiale è evidente a tutti, anche a chi non capisce un'acca di economia. I timidi segnali di ripresa (in verità non tanto timidi nell'America obamiana dove il pil sembra a un +3% e i nuovo posti di lavoro giungono a +270mila) sono ostacolati proprio dalla corsa in su del petrolio, dal folle vento di guerra che qualcuno, guarda caso, seguita ad alimentare.
* da Il mondo di Annibale