Lo chiamavano Giovanni. Era marocchino. Lo chiamavano Giovanni perche’ il suo nome arabo era impronunciabile.
Giovanni e’ morto nel sonno, sopraffatto dal freddo di questo straordinario inverno siciliano, mentre dormiva su una panchina di piazza Cairoli nel centro di Messina.
Di lui si sono accorti molte ore dopo, quando non c’era piu’ niente da fare. La stessa sorte era toccata un mese fa a un cittadino dello Sri Lanka. Solo la panchina e il luogo erano diversi. “Non sono certo io a dover dire di chi e’ la colpa di tutto cio’ - commenta il direttore della Caritas messinese, Nino Caminiti - non abbiamo posti a sufficienza per assistere i piu’ bisognosi, le istituzioni dovrebbero fare di piu’.”
Sull’altra sponda dell’isola ad Agrigento, un altro direttore della Caritas, don Vito Scilabra, si fa in quattro per assicurare un pasto caldo a stranieri in difficolta’. Un’opera fino ad oggi generalmente sostenuta. Qualcosa pero’ e’ cambiato. Una mattina don Scilabra viene affrontato da un gruppo di cittadini in via delle Orfane, nel quartiere storico della citta’. Si tratta, ironia della sorte, del quartiere arabo, dove la Caritas ha un centro di assistenza frequentato da una quarantina di extracomunitari.
Quei cittadini prendono a insultarlo perche’ “aiuta i marocchini”, come ha riferito un testimone, Nicola Pollicino, responsabile del centro di ascolto e di accoglienza San Giuseppe Maria Tomasi.
Secondo quegli agrigentini, don Scilabra con la sua attivita’ mette a repentaglio il quieto vivere e la sicurezza del quartiere.
Scilabra avrebbe voluto lasciar correre. Nicola Pollicino invece no, e ha denunciato i fatti: “Un caso di razzismo intollerabile”, ha detto.
Anche nella tollerante e “araba” Sicilia, c’e’ un vago sentore di “ronde”.
Giuseppe Crapanzano
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