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Giornata mondiale del rifugiato, denunciamo l’indifferenza del nostro Paese
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di Antonella Napoli

Giornata mondiale del rifugiato, denunciamo l’indifferenza del nostro Paese

Il 20 giugno si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale del rifugiato. Secondo i dati diffusi dall’UNHCR (l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite) in Italia sono circa 55mila mentre le richieste d'asilo presentate lo scorso anno sono state 17mila. Il trend registrato in tutta Europa dagli anni ‘90 ad oggi, ovvero l'aumento di domande a causa di nuovi conflitti e violazioni dei diritti umani, si è verificato anche in Italia. Eppure il numero degli esuli accolti nel nostro Paese continua ad essere il più  basso di tutti gli altri Stati dell'Unione Europea, in termini sia assoluti che relativi.
Gli ultimi dati forniti da UNHCR rilevano che “a titolo di comparazione la Germania accoglie circa 580mila rifugiati ed il Regno Unito circa 290mila, mentre i Paesi Bassi e la Francia ne ospitano rispettivamente 80mila e 160mila. In Danimarca, Paesi Bassi e Svezia i rifugiati sono tra i 4,2 e
gli 8,5 ogni 1.000 abitanti, in Germania oltre 7, nel Regno Unito quasi 5, mentre in Italia appena 0,7, ovvero 1 ogni 1.500 abitanti”.
I numeri parlano da soli. E’ per questo che ‘Italians for Darfur’ nella Giornata mondiale del rifugiato promuove un'iniziativa tesa a denunciare i grandi limiti che ancor oggi persistono nel nostro Paese in materia di accoglienza degli aventi diritto all'asilo. Domenica 20 giugno, alle 10,30, nel centro di accoglienza di Scorticabove, saranno distribuiti simbolici attestati di idoneità al diritto di asilo in nome dei diritti umani.
L'iniziativa/provocazione, organizzata con la comunità del Darfur a Roma, vuole evidenziare la necessità di una maggiore attenzione nei confronti dei richiedenti asilo per motivi politici, in particolare quelli provenienti dalla regione sudanese dove è in atto la più vasta crisi umanitaria attualmente in corso nel mondo: 300 mila morti, 2,8 milioni di sfollati e 4,5 milioni di persone che sopravvivono solo grazie agli aiuti del Programma alimentare mondiale e l'assistenza delle Organizzazione non governativa.
Dal febbraio 2003 il Darfur, area situata nel Sudan occidentale grande quattro volte l’Italia, è teatro di un conflitto che ha causato lo spostamento dell’80 per cento della popolazione, per lo più accolta nei campi profughi situati nelle aree pacificate, e la fuga di altre 250mila persone verso il Ciad.
Migliaia anche coloro che attraverso la Libia hanno raggiunto le coste europee.
In Italia si sono costituite varie comunità darfuriane, tra le più importanti quelle di Torino, Parma e Roma.
Nella capitale sono presenti un centinaio di rifugiati che hanno dimostrato grande spirito d'iniziativa.
Nel 2005, in assenza di un sistema di accoglienza nell'area romana, gruppi di africani - in gran parte provenienti dal Darfur - hanno efficacemente auto-organizzato la propria comunità occupando il vecchio deposito delle Ferrovie dello Stato nella stazione Tiburtina, poi denominato "Hotel Africa".
Il percorso della comunità è proseguito con la costituzione di un centro di accoglienza con alcuni elementi di auto-organizzazione in Via Scorticabove, che ad oggi è autosufficiente nonostante lacune logistiche e igieniche.
Il gruppo di rifugiati che vive in questa struttura da tempo chiede all'ente gestore - Arci Confraternita – di permettere alla loro comunità di gestire autonomamente la cucina e di istituire servizi medici. come previsto dall’accordo con il Comune di Roma.
Il loro intento è di contrastare un approccio di tipo assistenziale e di essere totalmente autonomi.
A tal fine è nata un’associazione di darfuriani che promuove e organizza attività per la comunità di Scorticabove, tra cui una scuola di lingua italiana preliminare all'inserimento nei circuiti di "Educazione per Adulti" e una squadra di calcio in collaborazione con l’Unione Italiana Sport per Tutti.
Italians for Darfur - dalla nascita del movimento nel 2006 - ha cercato di favorire l’integrazione dei profughi darfuriani e ha fornito e fornisce supporto per la regolarizzazione delle loro posizioni, in particolare attuando un’azione di tutela nei confronti degli aventi diritto allo status di rifugiato politico e supportando coloro che avanzavano richiesta di asilo.
Tutto ciò a fronte di una situazione, in Sudan sempre più drammatica.
Nonostante la presenza di circa 80 organizzazioni (dato post espulsione, marzo 2008 di 13 tra le più importanti Ong internazionali presenti nell’area) e circa 16mila operatori (in maggioranza sudanesi) la crisi resta gravissima.
Nell’ultimo anno si è registrato un peggioramento della qualità della vita nei centri di accoglienza.
L’esistenza di centinaia di migliaia di sfollati, per lo più donne e bambini, e costantemente a rischio in tutto il Darfur e nel 2009 altre 200mila persone hanno lasciato i propri villaggi per chiedere assistenza nei campi profughi.
Le minacce continuano ad essere molteplici: risorse idriche e alimentari insufficienti, condizioni igienico sanitarie pressoché inesistenti e controlli per la sicurezza inefficaci: si susseguono infatti scontri tra ribelli ed esercito sudanese ma anche tra etnie locali contrapposte.
La mortalità continua a essere molto alta anche se l’età media di aspettativa di vita è passata dai 35 ai 40 anni. Invariati i dati relativi all’infanzia, la maggioranza dei bambini non supera i cinque anni.  Ogni giorno ne muoiono un centinaio di fame o di malattie.
Se queste non sono motivazioni sufficienti per accogliere le migliaia di disperati che lasciano ogni giorno il proprio paese per cercare un futuro migliore nel nostro, ci chiediamo quali altre possano essere.

 


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