di Simona Marchini
La Galleria La Nuova Pesa nasce nel 1959 per iniziativa di mio padre, Alvaro Marchini, e chiude una prima fase nel 1976. Giusto 25 anni fa, nel 1985, sarà riaperta come centro culturale multidisciplinare per mia iniziativa. La Nuova Pesa diventa la “casa” di artisti romani, italiani e internazionali (Di Stasio, Levini, Salvatori e poi Kounellis, Horn, Gino De Dominicis), scrittori (Magrelli, Lodoli, Veronesi) e filosofi (Agamben, Cacciari, Vattimo), coordinati dal critico e scrittore Arnaldo Colasanti. L’attività variegata e aperta dello spazio, si è confermata nel tempo punto di riferimento e di “incontro etico” (come dice Jannis Kounellis). Ed è questo il pilastro che sostiene la vita e l’attività della Nuova Pesa, in quanto motivo informatore anche della mia stessa esistenza. Il suo impegno civile viene da lontano e non ha conosciuto mai flessioni o compromessi. E’ per questo che oggi si sente chiamata a parlare, insieme agli artisti visivi, di … impegno morale che si “manifesti” con forza.
Iniziamo con cinque appuntamenti. Il primo è il 13 dicembre alle ore 18 con una installazione di Felice Levini, seguito, due giorni dopo, il 15, da un dibattito, con l’on. Giuseppe Giulietti, il poeta Claudio Damiani, con il giornalista di Repubblica Giuseppe Cerasa, il critico e scrittore Arnaldo Colasanti, io stessa e quanti siano interessati ad esserci, sul “valore della parola” allo stato attuale delle cose. Per ognuno dei 5 artisti c’è infatti una parola chiave che li caratterizza particolarmente, e su quella si discute.
La prima è “Babele”, cioè appunto la difficoltà di una comunicazione “reale” – la manipolazione, lo svuotamento.
Gli appuntamenti continueranno anche nella prossima stagione, in quanto il discorso è aperto e soprattutto mira a coinvolgere in un immaginario, interminabile “manifesto” di scrittori, filosofi, registi, attori, artisti visivi, danzatori, docenti ecc. Si vuole per questo essere “manifesti”, cioè dire ad alta voce “siamo presenti, esistiamo e ci assumiamo una responsabilità civile, morale, etica”. Perché l’offesa perenne al valore della cultura, la sua continua mortificazione come soggetto “secondario” dell’identità civile di un paese, ci coinvolge profondamente. Siamo dunque tutti insieme “manifesti”.