di Eduardo Lliteras
Il Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha visitato il Messico nei giorni scorsi, nell’occasione ha voluto dare il suo appoggio al presidente Felipe Calderon e lo ha invitato a proseguire con l’attuale strategia politica - a causa della quale il Paese è stato trascinato in una violenza senza fine – fino a quando cesseranno il traffico di droga e le azioni dei criminali. Al contrario, il flusso di droga verso gli Stati Uniti fiorisce continua inarrestabile anche perché aumenta il consumo di stupefacenti, in cambio – dal nord del continente – prosegue la vendita di armi di tutti i tipi destinate ai narcos messicani che hanno saputo costruire arsenali in grado di rivaleggiare con quelli dell’esercito. Naturalmente la signora Clinton si guarda bene dall’applicare le stesse tattiche violente sul suolo americano, dove viene consumata la maggior parte della droga e lavato il denaro generato dal traffico di droga.
La cosa peggiore è che il Messico non è più solo un luogo di passaggio per la droga, ma si è convertito in Paese consumatore e in un mercato che “i cartelli” si stanno disputando non solo per l’esportazione verso gli Stati Uniti e la vendita in Messico, ma anche per realizzare altre attività e reati come i sequestri di persona, la tratta delle donne, il traffico di esseri umani, la prostituzione, i furti d’auto, le estorsioni secondo lo stile della mafia siciliana, con tanto di pagamento di pizzo.
Il proibizionismo e la guerra che ha provocato in Messico, ha dunque moltiplicato i conflitti e ha fatto fiorire potenti organizzazioni criminali il cui peso economico consente loro di comprare non solo polizia e militari, ma anche i giudici e i politici oltre che di finanziare campagne elettorali, come probabilmente sta già avvenendo.
Non solo: i gruppi criminali si dedicano anche alla realizzazione di interventi “sociali” in alcune comunità dando lavoro a decine di migliaia di giovani che non riescono a trovare un’occupazione, al punto che il presidente della Camera dei Deputati, Jorge Carlos Ramírez Marín, ha avvertito che lo Stato non può consentire trafficanti di droga di diventare il più grande datore di lavoro, mettendo in disparte i vari governi locali.
Il numero di ‘cartelli’ che stanno combattendo per il controllo del traffico di droga in Messico, secondo quanto afferma l’Ufficio del Procuratore Generale (PGR) sono i seguenti: il cartello Juarez, il cartello del Golfo, il cartello di Tijuana, il cartello di Colima Sinaloa (Palma-Guzmán Loera), il cartello Milenio, il cartello di Oaxaca e la famiglia Michoacan. Attualmente si parla anche di un nuovo cartello denominato Sierra.
Di gran lunga, Guzman Loera, alias “El Chapo”, ha superato gli altri capi dei narcos in quanto ad accumulo di potere economico, fino al punto di apparire nella lista degli uomini più ricchi del mondo. Il suo cartello dice, gode della protezione del governo federale messicano (che viene negata dai funzionari), mentre secondo Edgardo Buscaglia, esperto dell’ Onu nella lotta al crimine organizzato, i veri capi dei cartelli sono diversi imprenditori e politici di alto livello.
Washington vuole attuare in Messico una strategia simile a quella dispiegata in Colombia con il “Plan Merida”, il che significa armi, soldi e militari americani in Messico e anche basi operative, se possibile. Finora, le truppe statunitensi, non hanno fatto il loro ingresso in Messico, tuttavia nel Paese sono già in azione tutte le agenzie di intelligence Usa, dalla NSA alla CIA all’FBI, per citarne alcune, che hanno una nuova sede nel cuore di Città del Messico, in “Avenida Reforma”.
La lotta o guerra contro la droga, come l’ha definita Felipe Calderón (ma ora nega che si tratti di guerra per motivi di propaganda politica) è stata dichiarata a imitazione della guerra al terrorismo di George Bush e il suo scopo non è quello di porre fine al traffico di droga e all’attività dei cartelli (l’obiettivo è eliminarne alcuni o indebolirli), ma di gestire il flusso di denaro del narcotraffico per finanziare operazioni segrete oltre ad essere strumento della geopolitica degli Stati Uniti in Messico, America Latina e nel resto del mondo.
La guerra al narcotraffico, in Messico, a 4 anni dal suo inizio, genera ogni giorno più violenza causando un’escalation costante di fronte alla quale le persone appaiono impotenti e terrorizzate, mentre porzioni crescenti di territorio sono colpito da una criminalità implacabile. Da ultimo si parla anche della presenza di paramilitari e di organizzazioni criminali straniere nelle quali non mancano ex militari degli Stati Uniti.
Il fallimento del modello economico applicato negli ultimi 20 anni al servizio delle multinazionali e la conseguente ondata di disoccupati e poveri delle aree rurali e urbane, ha alimentato la “carne da cannone” di cui hanno bisogno i grandi cartelli della droga. La guerra al narcotraffico ha dato legittimità a un presidente accusato di aver vinto con la frode le elezioni presidenziali del 2006 e ha rappresentato la giustificazione perfetta che ha consentito ai militari di entrare nelle strade del Paese: un meccanismo che ha di fatto “smobilitato” la società messicana in termini politici e ha messo a tacere la grande stampa, specialmente nel nord del Paese, per paura dei cartelli e delle rappresaglie di polizia e militari. Una politica che, si dice, durerà almeno fino al 2020. In questo modo le grandi multinazionali statunitensi, canadesi e spagnole continueranno a saccheggiare le ricchezze del Paese e a sfruttare i suoi abitanti. In cambio di niente.
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