di Nicola Tranfaglia
Celebrare oggi, dopo centocinquant’anni di storia, l’Italia unita, non ha un significato meramente commemorativo. Vuole, invece, ricordare a tutti gli italiani i personaggi,le vicende anche i lutti di ogni genere, le ombre ma anche le luci che hanno caratterizzato il nostro lungo passato. Intendiamoci lungo fino a un certo punto, giacché viviamo in un vecchio continente nel quale la Francia e l’Inghilterra hanno compiuto il loro processo di unificazione nazionale alcuni secoli fa e noi siamo stati i primi soltanto rispetto alla vicina Germania che ha creato uno stato unitario qualche anno dopo.
Ma quel che conto è la lucidità per cogliere nel nostro passato le luci e le ombre, le pagine luminose e quelle che volentieri elimineremmo dal ricordo perché fanno pensare a momenti di grande dolore collettivo o di particolare difficoltà della comunità nazionale di cui facciamo parte.
Cerchiamo, anzitutto, di cogliere alcuni elementi che hanno caratterizzato in maniera costante il nostro cammino postunitario.
Pensiamo allora a fenomeni storici come quelli del trasformismo politico, del clientelismo, della presenza mafiosa che hanno attraversato i tre stati che si sono succeduti nei centocinquant’anni della nostra storia postunitaria: lo stato liberale, lo stato fascista e da settant’anni quello repubblicano. E’ impossibile dimenticare che i tre fenomeni storici appena citati sono stati presenti in tutte e tre le incarnazioni statuali e che nessuno di essi ci siamo ancora liberati.
Per di più siamo stati il popolo che ha inventato, per così dire, la dittatura fascista nata dalla costola di un ex socialista rivoluzionario e divenuta, dopo alcuni anni, contrariamente a quel che pensava il suo creatore, una merce di esportazione in Germania e in alcuni paesi dell’Europa orientale.
Insomma siamo un paese che non passa inosservato nel panorama europeo e, da quasi vent’anni, siamo di nuovo sotto osservazione perché l’ultima crisi repubblicana, quella dei primi anni novanta, ha favorito il ritorno e la vittoria dei populismi e l’avvento al potere di un imprenditore, Silvio Berlusconi, che ha governato ormai per diciassette anni, con qualche intervallo, e non ha nessuna intenzione, pur dopo la profluvie di scandali giudiziari e personali, di lasciare il potere né di andare al confronto elettorale.
I suoi obbiettivi principali che si collegano alla sua esperienza nella loggia massonica P2 e ai suoi legami, più volte ventilati, con uomini di mafia puntano a un regime plebiscitario, di un uomo solo al comando,di unificazione dei poteri costituzionali nel potere esecutivo e soprattutto di revisione radicale della costituzione.
A Silvio Berlusconi l’attuale costituzione non va bene all’interno e gli impedisce di realizzare i suoi piani privati e pubblici.
Anche la sua politica estera che puntava sul privilegio di alleanze almeno discutibili con il dittatore libico Gheddafi e con l’autocrate russo Putin,con i quali il leader populista fa con ogni evidenza affari personali, dispiace al tradizionale alleato americano e sposta l’unione europea su posizioni di stallo (come nella questione libica) o di incertezza strategica.
Insomma segni indietro evidenti per la nostra repubblica.
C’è da sperare che le forze di centro-sinistra e anche solo di centro o di destra democratica trovino la forza di superare le vecchie divisioni e di porre come obbiettivo centrale di un’alleanza elettorale se non politica quello di liberare l’Italia da un presidente del Consiglio che è alla vigilia di quattro processi penali e non riesce da molti mesi ad alimentare le Camere di proposte credibili.
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