di Ai Nagasawa*
“Giappone, le voci dell’apocalisse” (la Stampa, 12 marzo). “La lotta dei sopravvissuti sette giorni dopo l’apocalisse” (la Repubblica, 19 marzo) La parola che viene spesso utilizzata nelle testate giornalistiche come “apocalisse” in realtà a me, evoca un’immagine di pace: “Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere da cielo…” (Apocalisse di Giovanni. 21,1). È ovvio che siamo abituati ad utilizzare la parola “apocalisse” come propriamente citato da tutti “fine del mondo”, ma possiamo dedurre dal versetto citato sopra, in questa parola anche una prospettiva positiva del futuro. Così come noi giapponesi cerchiamo da questa terribile esperienza, una valenza positiva. Cioè cosa possiamo imparare dal terremoto, dallo tsunami e dal problema nucleare? Si, ho scritto “imparare”, per costruire un futuro migliore. Avete mai pensato perché un paese come il Giappone, dove ha sofferto per ben due bombe atomiche sul finire della seconda guerra mondiale, possiede 55 centrali nucleari attive, 3 in costruzione, e 11 in fase di progettazione? Perché nel nostro ideale, la nazione doveva essere una delle potenze mondiali, raggiungere il livello di benessere tipicamente occidentale, al costo di sacrifici personali per il bene comune, per tutti. Nonostante il Giappone sia una terra molto sismica, i vertici politici hanno valutato che i benefici stimati provenienti dalle centrali nucleari fossero maggiori degli eventuali rischi. Ed in questo ci siamo riusciti. Ma il 16 marzo, cioè dopo l’incidente a Fukushima Daiichi, è apparsa questa scritta da un giapponese sul web sull’utilizzo della centrale nucleare: “io non avevo mai espresso l’opinione sull’utilizzo dell’energia nucleare, ma ora ho deciso di prendere una posizione chiara e netta: io dico di no al nucleare perché calpesta la dignità di noi tutti”. Ma è anche vero come ha scritto un noto scienziato italiano “senza l’energia nucleare il nostro pianeta, con tutti i suoi abitanti, non sopravviverà, non dobbiamo fare marcia indietro, ma andare avanti, ancora più in là, con la conoscenza e il pensiero scientifico” (la Repubblica 19 marzo). Cosa possiamo trarre allora noi, da queste riflessioni? Cosa significa costruire un paese autonomo dal punto di vista energetico rispettando al contempo la dignità e l’integrità anche di tutti noi? Forse siamo arrivati ad un punto di svolta dopo quello che è successo in Giappone. Il modello che abbiamo inseguito fino ad ora non funzionerà più. Allora? Questa è una riflessione che vogliamo condividere con tutti, soprattutto con coloro che hanno il grande potere e responsabilità nel trasmettere le notizie, e che nell’occasione dei tragici eventi che hanno colpito il Giappone hanno dimostrato scarsa sensibilità e talvolta pressapochismo degno di un giornalismo sensazionalistico che ferisce e non informa.
* montatrice televisiva, mediatore culturale di Gruppo UVA