di Gianni Rossi
Non c’è solo il conflitto di interessi a dominare questa lunga stagione politica del nostro paese, che si avvia tragicamente ad entrare nella lista degli stati europei “bancarottieri”, i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna), ovvero i “poorcellini” che potrebbero mettere a rischio la sopravvivenza dell’Eurozona, con il loro dissesti di bilancio. C’è un’altra malattia incurabile, che viene dagli anfratti della classe di appartenenza di un determinato ceto politico e che ritorna ciclicamente dal Risorgimento in poi: “la politica amorale”. Ovvero l’uso privatistico degli ingranaggi della lotta politica e del potere esecutivo a proprio uso e consumo, per l’arricchimento di sé e dei propri sodali. Con un corollario davvero deprimente e sconsolante: una volta scoperti dalle inchieste giudiziarie e giornalistiche, la quasi certezza di un’impunità e di un lasciapassare per godersi parte della refurtiva pubblica accumulata!
E’ l’aspetto “moderno” dell’ antica lotta di classe di marxiana memoria.
Quale mondo, infatti, convive dietro alla “grande famiglia” dei Berluscones? Fin dagli inizi della avventura politica il Sultano di Arcore si contornò di personaggi “border line”, come molte inchieste giudiziarie in questi decenni hanno indicato: commercialisti, fiscalisti, avvocati, ex-ufficiali della Guardia di Finanza, ex-magistrati. Il loro ruolo era di stringere i rapporti con alcuni settori di provenienza, per usufruire di informazioni riservate e redigere dossier, per aiutare carriere di quanti potessero tornare utili poi agli affari, privati e pubblici, del Cavaliere. Il “ventre molle” dello Stato ha permesso tutto questo, anche perché nonostante i diversi scandali che si sono succeduti dagli anni Sessanta in poi, non c’è mai stato un vero “ripulisti” dentro l’amministrazione pubblica civile e militare e non sono mai state imposte regole di stampo europeo o anglosassoni circa la scelta dei “civil servant”.
Ai tempi della P2, ad esempio, esistevano due “cordate” per avanzare nelle alte gerarchie sia tra i Carabinieri sia nella Guardia di Finanza. Il gioco era semplice: occorreva accedere in una delle logge “coperte” e poi grazie alle amicizie lì ben coltivate, farsi inserire nelle cosiddette “terne”, ovvero nelle liste di avanzamento. Ebbene, quelle terne erano spesso “taroccate”, in quanto due erano i nomi dei contendenti alla pari, espressioni delle due cordate, il terzo nome era un diversivo per rendere legale il procedimento.
Per scoprire chi, come e perché stesse dietro a questa anomalia, il generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa finse di aderire alla P2 (dove era entrato il fratello Romolo, alto ufficiale dei carabinieri a cavallo), oltre per conoscere quale groviglio di potere occulto si celasse nella loggia cripto massonica, diretta da Licio Gelli. Fato sta, che nel settembre del 1982, un anno dopo la scoperta degli elenchi della P2, il generale, poi prefetto Antimafia, Dalla Chiesa, fu barbaramente ucciso insieme alla seconda giovane moglie, e la borsa con i documenti riservati scomparvero nella nebbia dei misteri italiani.
La tecnica delle finte terne, comunque, è sempre rimasta a galla anche per le nomine nei consigli di amministrazione e ai vertici delle società controllate dal governo, con l’unica eccezione di inserire anche nomi graditi all’opposizione per dare una parvenza di democraticità istituzionale. Insomma, al “gran ballo” delle nomine pubbliche, parapubbliche, civili o militari, che fossero, il mondo della politica ha sempre partecipato in allegra compagnia. Poi, magari a turno, maggioranza e opposizione sbraitavano contro le lottizzazioni, ma sotterraneamente non hanno mai smesso di banchettare.
“La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione prima ed essenziale, perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico”: questo l’allarme lanciato il 28 luglio del 1982 dal segretario del PCI, Enrico Berlinguer, in una memorabile intervista a La Repubblica* (vedi testo integrale). Parole rimaste inascoltate, anche dentro quel partito, che poi nei decenni si trasformò in quello che oggi viene chiamato PD, comprendendo al suo interno le due “anime” storiche della politica italiana: quella di origine comunista e socialista, e quella democristiana e popolare. Le parole di Berlinguer, 30 anni dopo, depurate dal contesto più particolare di quegli anni, è attualissima, con la sua cruda analisi sulla crisi del sistema capitalistico, sui limiti della socialdemocrazia nord europea, sui danni della disoccupazione, sul ruolo dei media e sulla differenza di voto da parte degli elettori ai Referendum o alle altre consultazioni più “condizionabili”, come le amministrative.
Inascoltato allora, dimenticato in questi 17 anni di regime berlusconiano. Lucido e profetico, quel monito pesa come un macigno sulla classe politica per gli errori commessi e le nefandezze volute: dal regime craxiano che portò alla ribalta il malvezzo di “nani e ballerine”, ovvero l’uso delle cortigiane e dei favoritismi come esternazione del potere pubblico nel privato; a Tangentopoli, al Berlusconismo, che rievoca in grande “l’Orgia del potere”. Gli ultimi casi di corruzione e di malversazione nei confronti dello Stato, con i vari attori protagonisti di vicende oscure, che la magistratura sta cercando ancora di dipanare (P3, P4, Bisignani, Papa, Milanese, solo per fare alcuni nomi coinvolti), testimoniano che il sistema della “politica amorale” è purtroppo bene radicato nei palazzi del potere italico.
Berlusconi è il capo-azienda di questo regime. E quando, come in una “tempesta perfetta”, arrivano insieme due tornado finanziari, uno privato con il risarcimento forzoso per il Lodo Mondadori di 560 milioni di euro a De Benedetti, e l’altro pubblico con l’attacco della speculazione internazionale contro l’Italia, rea di aver varato una manovra finanziaria ridicola e per i governi futuri, ecco allora che il Sultano di Arcore si ritira nei suoi anfratti dorati con la famiglia e i suoi consulenti per curarsi però delle ferite private: “Che l’Italia vada anche a fondo!”, sembra riecheggiare dall’eco profonda degli anfratti berlusconiani in queste ore, purchè si salvi il “tesoro della famiglia”.
Suonano così parziali le autorevoli raccomandazioni, affinchè anche le opposizioni si mostrino collaborative per salvare il paese dal rischio “default”. Tutti insieme sulla stessa barca, guidata da un timoniere pazzo e da un nocchiero che ha avvelenato la cambusa?
Berlusconi e Tremonti sono le due facce di questo regime ed insieme dovrebbero chiedere scusa agli italiani e alle istituzioni europee per le continue prese in giro e uscire di scena. Invece, ci si affanna a correre al loro capezzale, senza neppure dettare le condizioni della loro resa.
Per passare dalla “Politica amorale” di quest’ultimo Ventennio all’etica della politica, non basta prendersi la responsabilità di far passare una manovra davvero “lacrime e sangue” per le classi popolari, i ceti produttivi e medi, i pensionati e le nuove generazioni, occorre chiedere delle contropartite serie e concrete. Altrimenti, quel popolo nuovo che in 27 milioni ha chiesto di voltar pagina con il voto plebiscitario ai Referendum non solo non capirebbe, ma potrebbe diventare una forza antagonista non controllabile. Il paese potrebbe conoscere forme estreme di contestazione!
L’etica della politica richiede alle opposizioni di cambiare lo spartito musicale del potere esecutivo: modifiche sostanziali alla manovra a favore dei ceti deboli e medi e di quanti da sempre pagano le tasse oltre i limiti europei; incremento della tassazione sui bonus per i manager pubblici e privati, sulle rendite finanziarie e sulle transazioni, reintroduzione della tassazione sui lasciti ereditari privati e societari, che superino le soglie europee, riduzione delle aliquote fiscali e introduzione di una fiscalità di favore per le famiglie. Sono solo alcuni esempi, altri potrebbero arricchire un piano per una “fiscalità equa” in modo da stravolgere l’impianto della manovra Tremonti/Bossi/Berlusconi. Quindi, le opposizioni esigano, da subito con un patto stretto davanti al Presidente della Repubblica l’uscita di Berlusconi dal governo, una legge elettorale che cancelli il “Porcellum” ed elezioni entro l’anno. E’ giusto che Bersani, intanto, prometta il voto contrario del PD.
Solo così si può onorare il richiamo che viene dal Colle!
Altrimenti la “Politica amorale” resterà in vigore e le forze sane del paese insieme alle opposizioni parlamentari si faranno turlupinare. Non siamo alle emergenze di attacchi terroristici o di guerre più o meno vicine ai nostri confini, siamo di fonte ad attacchi speculativi di un’estate tropicale, che possono essere affrontati con interventi concordati a livello europeo e con un cambio di governo, sostituito da una classe politica nuova, che sa prendere decisioni non contro il proprio popolo, tiranneggiato dal Ventennio berlusconiano.
La sinistra non può autoaffondarsi come sta facendo in Grecia, in Portogallo, Irlanda e Spagna e come è avvenuto in Gran Bretagna. Né l’Europa può sottostare ai diktat finanziari della cancelliera Merkel o dell’iperliberismo monetario della BCE. C’è da mettere in campo un’altra etica della politica e i valori sono quelli che in questi ultimi due/tre anni i movimenti di studenti, precari, metalmeccanici, donne e società civile hanno messo in campo nelle loro affollate manifestazioni e nei loro Forum sulla Rete. Ripartire da questo tessuto reale e “pulito” si può ed è l’unico argine alla “Politica amorale” dei Berluscones e degli speculatori finanziari.
Intervista a Enrico Berlinguer (La Repubblica 28 luglio 1981)
«I partiti sono diventati macchine di potere»
«I partiti non fanno più politica», dice Enrico Berlinguer.
«I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia».
di Eugenio Scalfari
La passione è finita?
Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...
Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.
È quello che io penso.
Per quale motivo?
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.
E secondo lei non corrisponde alla situazione?
Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.
La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.
Veniamo all'altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.
In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità.
Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da averne paura?
Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?
Veniamo alla seconda diversità.
Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.
Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.
Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.
Non voi soltanto.
È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?
Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un'offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.
Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s'intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l'occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.
Dunque, siete un partito socialista serio...
...nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo...
Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?
No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c'è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.
Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c'è o no?
Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c'è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.
Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono profare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.
Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d'accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l'inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell'obiettivo. È anche lei del medesimo parere?
Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è -se vogliamo- l'altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'una e contro l'altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l'inflazione si debba pagare il prezzo d'una recessione massiccia e d'una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.