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Della morte di Amy Winehouse. Cordoglio e pregiudizio
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di Antonella Sciocchetti

Della morte di Amy Winehouse. Cordoglio e pregiudizio Siamo sempre tutti attoniti, di fronte a una morte prematura. Tuttavia c’è errore nel definire ‘prematura’ una morte. Chi stabilisce la lunghezza di una vita e con quale misura possiamo affermare “E’ morto presto” o “Ha vissuto a lungo”?  Prestiamo la durata delle nostre vite agli osservatori statistici divisi per categorie di lavoro, per dipendenze da alcool/fumo/droghe, per malattie più o meno gravi, per area geografica, posizione economica, attività intellettuale e/o artistica, ma chi di noi può decidere che una vita sia “compiuta” solo se chiudiamo per sempre gli occhi attorno ai novant’anni?  E chi può dire ‘quando’ una vita sia davvero compiuta? Semplicemente la vita si compie con l’arrivo della morte, che falcia il respiro e chiude il cerchio di grani dell’esistenza.
Dimentichiamo troppo spesso che la durata dell’esistenza di un uomo, artista o no, famoso o sconosciuto, piccolo o grande d’età,  non ha valore statistico, tantomeno può essere imprigionato in ideali “Club27”, ai quali si accede grazie a inspiegabili maledizioni … come quella relativa alla lettera “J”.  Nel noto “Club27” sono finiti, negli anni, Jimi Hendrix, Robert Johnson, Jim Morrison, Brian Jones, Jeremy Michael Ward, Jasse Belvin e Janis Joplin, di cui la ventisettenne Amy Winehouse (ultima della lunga lista) era considerata massima erede.  Amy Winehouse all’anagrafe era, sì, Amy Jane Winehouse … ma leggere congetture che la vedono entrare nel paradiso dei “maledetti dalla J” è ancora una volta troppo, e troppo poco rispettoso della sua stessa morte e di una carriera artistica spesa nella musica, in una dimensione spettacolare di cui era capacissima artefice.
La maledizione che avrebbe colpito il mondo della musica rock , nel trentennio ’60-’90 (provocando la morte di artisti ventisettenni nel cui nome comparisse la lettera “J”) sembra, altresì, avere troppe “varianti”:  Jimmy "The Rev" Sullivan muore per mix di psicofarmaci ed alcool a 28 anni, John Bonham muore soffocamento da vomito a 32, Jaco Pastorius ferocemente picchiato a 36, John Lennon assassinato all'età di 40, Joe Strummer e Michael Jackson se ne vanno con un infarto all'età di 50, e Kurt Cobain (inserito a pieno titolo nel Club) viene trovato morto in misteriose circostanze a 27 anni, d’accordo, solo che Cobain manca di lettera “J” nel suo nome.
E’ ben chiaro come, di fronte alla scomparsa di un personaggio famoso, si attivino recriminazioni, obiezioni, simpatie, antipatie, ‘cordogli e pregiudizi’, ricordi, malinconie, … che possono essere più o meno gli stessi di fronte a una qualsiasi morte, solo amplificati dai media, sbattuti in prima pagina e protratti per almeno quindici giorni e, comunque, fino alla prossima morte famosa. Non ne è state immune la Winehouse, nei pochi giorni che ci separano dalla sua dipartita.  E’ meno chiaro volerne parlare a tutti i costi in chiave numerologica, esoterica, congetturale, forzando architetture mai dimostrabili.
Quale relazione tra le grandi star scomparse, come la Winehouse, a 27 anni? Nelle loro biografie, oggi alla portata di tutti, risiede la risposta, non nei numeri. Fatte le dovute eccezioni causate da fanatismi o da quelli che solitamente chiamiamo “incidenti”, sono stati l’alcool, le droghe, l’uso spropositato di psicofarmaci, gli squilibri alimentari altalenanti tra bulimia e anoressia, gli eccessi degli eccessi ad accomunare le vite dei grandi artisti nominati fin qui. Potremmo trovare innumerevoli giustificazioni ai loro ‘stili di vita’ e discuterne per ore, scatenando i palati di sociologi, musicologi e massmediologi. Potremmo accusarli, senza che (ovviamente) possano difendersi, scatenando le ire dei fan o di amici e familiari.
E tuttavia, colpevoli o innocenti, indotti o scientemente decisi, sono artisti che hanno vissuto ‘pienamente’ la loro esistenza. Il loro percorso non è stato ‘spezzato’ in modo ‘prematuro’. Siamo noi a vedere spezzate le nostre possibilità di fruire la loro musica. L’esistenza si conclude semplicemente  dopo un tracciato che ognuno di noi ha la libertà di realizzare nello stile che sceglie. E non c’è giudizio, in questo: solo un oggettivo esame degli eventi … solo uno sguardo sulla vita precaria, ma compiuta nel suo consumarsi.
Amy Winehouse non è morta a 27 anni. Ha vissuto il suo tempo come voleva, e nel suo successo mondiale, nella sua produzione, nelle pagine di storia del rock scritte, al “tempo” ha dato una ‘sua’ misura.  E’ valido per tutti, ma per un artista davvero il tempo non esiste. I grandi artisti, patentati di genio e sregolatezza, lo disegnano loro piacimento: danno al tempo battute infinite sui pentagrammi immortali e l’infinita lunghezza del ‘verso’ del canto. Quello della Winehouse era un canto ‘unico’, inimitabile, che ci ha dapprima ci ha ricordato Macy Gray e Sarah Vaughan, e poi si è fatto forte di una indomabile personalità.  Ma mentre vestiva di ‘platino’il suo corpo sempre più magro e sfoggiava l’eccentrica capigliatura corvina, Amy ha cominciato a sfidare ogni buona possibilità del ‘suo’ tempo … pur vivendolo tutto, e consumandolo tutto.
Nel “Libro della Sapienza” si legge:  “Il giusto, anche se muore prematuramente, troverà riposo.
Vecchiaia veneranda non è la longevità, né si calcola dal numero degli anni; ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza; e un’età senile è... una vita senza macchia”.  
Il compito di ogni uomo ragionevole e libero, come di ogni artista ragionevole e libero, è chiedersi continuamente cosa possa ‘macchiare’ le nostre vite tanto da toglierci quella “sapienza” che ci fa longevi pur vivendo un solo istante.

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