di Ottavio Olita
In Rai non si era mai vista una protesta simile: i giornalisti di Tg3, Tgr e Rainews, contemporaneamente, per oltre una settimana, hanno raccontato ai loro telespettatori le ragioni del disagio. E con loro, in agitazione, anche i colleghi di Televideo. Poi, sempre contemporaneamente, hanno deciso di sospendere la protesta perché per l’11 ottobre l’Azienda ha convocato l’Usigrai al tavolo di conciliazione. Usigrai che ha già avviato, in giro per l’Italia, gli incontri con i cittadini, le associazioni, le forze sociali, per l’iniziativa “Riprendiamoci la Rai” volta a scuotere le coscienze contro lo stato in cui è stato ridotto il servizio pubblico radiotelevisivo, forse con l’obiettivo ultimo di smantellarlo e svenderlo.
Il grande subbuglio delle redazioni è evidenziato anche da un altro dato, che fa il paio con quanto accaduto l’anno scorso nel voto plebiscitario contro l’ex direttore generale Mauro Masi. I giornalisti delle sedi regionali hanno sfiduciato il loro direttore che pure, al suo insediamento, aveva ottenuto un ampio consenso. Dei 560 giornalisti che hanno partecipato al voto, 483 - pari all’89.9 per cento - gli hanno detto ‘no’; 59 – pari al 10.1 per cento – gli hanno rinnovato la fiducia; 17 sono state le schede bianche; una nulla.
Cos’è successo, in pochi anni? E’ accaduto che senza proporre alcun confronto alle redazioni sono state avviate nuove iniziative editoriali – prima “Buongiorno Italia”, ora “Italia Sera”, peraltro inserita con un atto d’imperio all’interno di “Rainews”, l’edizione della 19.35 è stata prolungata di due minuti – e ne sono state cancellate altre importanti come “Neapolis”. Nei progetti c’era anche l’eliminazione della terza edizione del Tg, ma la ferma opposizione, anche delle istituzioni locali, ha per ora bloccato quel progetto (la Rai parla infatti di decisione ‘temporanea’). A fronte dell’aumento del carico di lavoro, su questioni fondamentali per il futuro dell’azienda tutto è rimasto fermo: macchinari obsoleti, digitalizzazione lontana, organici bloccati. Non era quindi difficile prevedere come avrebbero reagito le redazioni. Ma forse l’azienda ha scientemente voluto mandare il direttore Maccari al massacro, da un lato per sondare la compattezza dei giornalisti, dall’altro perché tanto il responsabile della Tgr il 4 gennaio abbandonerà l’incarico per raggiunti limiti d’età.
Nell’assemblea generale del 15 settembre tenuta a Saxa Rubra il rischio di contrapposti interessi tra redattori della Tgr e Rainews è stato sconfitto con un forte spirito unitario. E in quell’occasione si è levata forte anche la voce dei colleghi del Tg3 che hanno sottolineato come l’eliminazione di un programma come “Parla con me” di Serena Dandini, sostituito con repliche di telefilm e rubriche visti e rivisti, in realtà andava a danneggiare pesantemente un prodotto giornalistico di approfondimento come “Linea Notte”. Così, la decisione del ritiro delle firme dai servizi e della lettura di un comunicato sindacale in ogni edizione ha visto uniti i colleghi di Tg3, Tgr e Rainews.
I cittadini che hanno compreso il significato di quei comunicati stanno ora partecipando numerosi all’iniziativa “Riprendiamoci la Rai” che l’Usigrai ha cominciato a proporre in giro per l’Italia. I segnali della volontà di smantellamento o di impoverimento sono tanti e preoccupanti: via Saviano, via Santoro, via Ruffini, via la Dandini. E’ legittimo chiedersi se la ragione vera dell’allontanamento di così importanti protagonisti di successo – anche per il mercato pubblicitario che erano capaci di raccogliere – non sia quella di abbassare il possibile prezzo di vendita di un’azienda su cui si sono scatenati gli appetiti interessati di tanti che invocano la ‘privatizzazione’. E contemporaneamente vengono tenuti saldamente al loro posto quei dirigenti che stanno riuscendo ad abbattere gli ascolti, ad esempio, del Tg1.
“Riprendiamoci la Rai” pone un quesito principale ai cittadini: così come è stato dimostrato per l’acqua e l’ambiente, con esiti referendari nettissimi, l’informazione di servizio pubblico è considerato un bene essenziale per una democrazia come quella italiana? Se sì, non si può più tollerare che esso dipenda dalla lottizzazione, dal controllo diretto dei partiti. Per questo si deve arrivare alla scadenza del prossimo mese di marzo, quando decadrà l’attuale consiglio d’amministrazione eletto sulla base della legge Gasparri, con una nuova legge che svincoli completamente il governo della Rai dal potere partitico e che dia finalmente piena autonomia e indipendenza all’azienda. I tempi sono stretti e non c’è più spazio per gli equilibrismi o per chi sceglie la prassi del rinvio in modo che le cose rimangano così come sono ora, condannando la Rai al progressivo disamore degli utenti che non intendono più pagare il canone per gli interessi privati di questa o quella forze politica, per di più in un sistema in cui non esiste una qualunque legge significativa contro il conflitto di interessi. O si cambia urgentemente, o la Rai, in queste condizioni, è condannata a morire.