di redazione*
La riduzione del Fondo Editoria fino al suo quasi annullamento, è il risultato di una volontà del Governo che ha proceduto a progressivi ridimensionamenti più che proporzionali ai tagli esercitati sul resto della spesa pubblica. Si è passati in pochi anni da oltre 600 milioni a poco più dei 100 previsti nella proposta di Legge di stabilità in discussione al Parlamento.
Il Parlamento risulta così privato della sua prerogativa costituzionale di intervenire a favorire e ad accrescere l’offerta di informazione, prerogativa ridotta a competenza amministrativa. Un’amministrazione che è chiamata ad assolvere, così, ad un compito che non le può competere e che pensa di gestire su tavoli tecnici, quelle che sono scelte politiche.
Questi tagli, contenuti nella proposta di legge di Stabilità, non sono una risposta alla crisi, perché chiuse cento testate e aumentata la disoccupazione di altri 4000 tra giornalisti e poligrafici, si spenderà in ammortizzatori sociali più di quanto necessario per garantirne la sopravvivenza, senza contare le perdite per gli enti previdenziali e le entrate per lo Stato, dall’IVA all’IRAP, che derivano da un giro di affari che fattura mezzo miliardo di euro.
Per di più i tagli si abbattono in modo retroattivo sulle imprese, alla fine di un esercizio, a spese effettuate anche sulla base dello stanziamento previsto dalla precedente Legge di stabilità.
Meraviglia la posizione della FIEG che asseconda questo disegno, contro i suoi stessi associati, accampando una presunta concorrenza sleale di queste testate: come se quello dell’informazione fosse un mercato di un bene qualunque; come se non si sapesse che l’informazione come la cultura cresce nella molteplicità e nel pluralismo, che se non ci fossero dovrebbero essere inventati e sostenuti.
È impossibile credere che la linea di un’organizzazione che dovrebbe fare del pluralismo e della ricchezza dell’offerta informativa la sua missione, in questo caso, sia condizionata da qualche testata che, pensando di poter acquisire qualche centinaio di copie, non di più perché questo è un mondo di lettori molto profilati per valori e idee, ne distrugge 500.000.
Non ci sono oggi le condizioni per una riforma seria e complessiva del settore che ripetutamente e stata richiesta e dal Governo vanamente promessa, tuttavia si impone oggi un provvedimento urgente che eviti di arrivare alla riforma con la scomparsa di una parte rilevante del settore. Per questo chiediamo al Parlamento di ricostituire il Fondo, di introdurre, da subito, norme più rigide e trasparenti legate al numero di dipendenti, alla presenza in edicola e alle vendite, nell’erogazione delle risorse e di destinare i risparmi che si conseguiranno per finanziare l’innovazione digitale e la crescita della domanda di informazione.
*Mediacoop, Federcultura-Confcooperative, Fisc