di Federico Orlando
Les italiens, toujours les italiens. L’ironia franco-tedesca ci feriva ancora a piazza San Giovanni, mentre Bersani descriveva la ricostruzione morale dell’Italia, insieme a quella economia, del lavoro, delle funzioni pubbliche, delle istituzioni. Nella devastazione antropologica (come la chiamano) degli italiani, dopo vent’anni di berlusconismo e cinquanta di laizzes faire, apparivano come schermo tra l’oratore e chi l’ascoltava il bottegaio genovese che vende bottiglie d'acqua a prezzo triplicato, perché ai suoi concittadini i rubinetti versano fango; e i ragazzi , maschi e femmine, che si dedicano allo sciacallaggio nei negozi sfondati dalla fiumara. Scacciavamo quelle immagini con altre, uomini e donne della protezione civile, del volontariato, dei corpi in divisa, “eroi del fango”: (come a Firenze, come a Venezia, in Campania). Non Italiens, ma italiani, capaci di rischiare per altri. Anche se non sono loro a fare marchiare la nostra immagine all'estero.
Dal podio Bersani prometteva che il nuovo centrosinistra di governo punterà a più crescita, risanamento delle finanze, pubblica amministrazione non sclerotica, servizi scuola-sanità-trasporti, riequilibrio Nord-Sud e -possiamo aggiungerlo? dell'informazione); sarà aperto alle culture radicali e ambientaliste (e quelle liberali?); promuoverà una dose aggiuntiva di diritti civili e di recupero del rapporto con madre natura: indispensabile in questa terra dove secoli di servitù contadina hanno poi trasformato l’emancipazione in vendetta contro la natura matrigna. Fino all’autodistruzione di se stessi insieme al suolo, alle coste, alle montagne, alle fragili pianure. Non si può affidare il governo locale e nazionale a un ceto maggioritario ma di troppo recente e incerta cultura, troppo proteso all’ “io” e dimentico del “noi”, come scrive il sociologo De Rita. E che sembra predire, con quel necessario rovesciamento dell’io in noi, quanto grande si presenti al centrosinistra e ai suoi alleati l’opera di ricostruzione. Ossia quel “ciclo più radicale di cambiamento”, da attuarsi, dice Bersani, con un patto di legislatura fra progressisti (anche Renzi, ndr) e moderati.
Un cambiamento che si proponga l’assurdo, che voglia l’educazione civica degli italiani. Genova è stata tritata da decenni di massacro autorizzato, consentito, tollerato. Ho frequentato per vent’anni, quasi ogni settimana, la Liguria, alla periferia di Genova, nei piccoli centri del Levante già allora “rapallizzati”. Rapallo, prima cittadina turistica italiana sbranata fin negli anni Cinquanta dall’avidità che non risparmiò nessuno, neanche il vescovo, si trasferì con quel neologismo dai libri di storia, dov’ era entrata per le conferenze e i trattati internazionali degli anni Venti, al libro della malavita collettiva. Sono grato a Sergio Rizzo d’aver riprodotto la risposta di Montanelli a un lettore ligure, scritta dieci anni fa alla vigilia della morte con la stessa veemenza con la quale, mezzo secolo prima, aveva difeso Venezia fino a farsi processare: “Nella distruzione della vostra Riviera è responsabile tutta la vostra classe dirigente, non soltanto quella politica. Ne sono responsabili quella imprenditoriale, quella finanziaria, mercantile, alberghiera. Tutti. Tutti, anche il cosiddetto uomo della strada: tutti abbacinati dall’irruzione dei cantieri (…) che prenderà d’assalto il promontorio dando agli indigeni la grande occasione di arricchirsi con un orto. Che pacchia. Una pacchia che durerà sette, otto, dieci anni , per poi ridurre questo angolo d’immeritato paradiso alla solita colata di cemento e di asfalto”. E oggi, aggiungiamo, di alluvioni e morte. Les Italiens.
Bersani ha invocato fraternità. E’ la cosa più importante, in un paese dove l’io è rimasto l’unica cultura unificante. Occorre una forte polemica con questa cultura e non solo col berlusconismo, che le ha dato ruolo di governo. Cioè il malgoverno. Dobbiamo favorire, con spirito fraterno, una riflessione generale. Aiutare gli italiani a dialogare con Les Italiens, a far loro capire perché alla vigilia delle Cinque Terre, della Lunigiana, di Genova, del Piemonte, di Napoli, si osasse ancora parlare del Ponte di Messina, mentre l’indomani s’era costretti a gridare “Gli argini del Po stanno cedendo”. E i miliardi contro il dissesto stanziati nel 2010? Neanche gli spiccioli del ministero dell’Ambiente abbiamo più visto: mentre la ministra Prestigiacomo si esibiva in psicodrammi, i suoi 550 milioni del 2008 per il rischio idrogeologico si riducevano a 84 quest’anno.
Su questa materia umana Berlusconi ha fatto la sua fortuna, fino a quando Les Italiens si sono visti rimandare dalla tv la loro immagine, riflessa nell’irrisione compassionevole degli stranieri, nel sogghigno “più tagliente delle lame delle baionette”, avrebbe scritto Edgard Lee Masters. Che scriveva poemi sepolcrali. Il fatto è che in Francia si fa elettricità col nucleare, che noi poi compriamo perché non ne produciamo di più (è meglio conservare l’ orto per la speculazione edilizia), e in Germania si produce energia con l’immondizia che noi vi trasferiamo pagando, perché non vogliamo discariche o inceneritori o termoconvertitori vicino casa (meglio costruirvi un altro quartiere fuori legge, sempre condonabile). Bersani sa tutto questo. Ma sa anche che, dopo ogni guerra, gli italiani si illuminano di solidarietà e di patriottismo creativo, a volte azzeccandoci a volte no. Bisogna che la sua politica di fratellanza faccia emergere il dottor Jekill ch’è in noi, e che si manifesta nell’applauso a Napolitano; mentre il mister Hyde si ubriaca ancora di berlusconismo.
Il bipolarismo ha esaltato la nostra bipolarità, invece di semplificarci la mente. Speriamo di poter cominciare presto la cura, senza aspettarci troppi applausi. Neppure De Gasperi ne ebbe, finché restammo col sedere per terra. Anzi, non appena ci rimise in piedi, lo licenziammo.