Articolo 21 - INFORMAZIONE
Pericoli per la libertà di stampa: succede a Caserta
di Pietro Nardiello
Nelle scorse settimane ha destato molto scalpore la vicenda del quotidiano napoletano “Metropolis”, la cui redazione è a Castellammare di Stabia, quando alcuni parenti di Salvatore Belviso, detenuto al regime 41 bis presso il carcere de L’Aquila perché ritenuto dalla DDA il reggente del clan D’Alessandro, hanno richiesto alla redazione del giornale di ritirare dalle edicole tutte le copie del quotidiano dove veniva riportata la decisione del Belviso di iniziare a collaborare con la giustizia. Azione proseguita, poi, presso tutti gli edicolanti della zona ai quali è stato “cortesemente chiesto” di ritirare le copie. “Non si è pentito hanno affermato i parenti, abbiamo chiesto al direttore di ritirare le copie per tutelare la nostra famiglia da eventuali ritorsioni”.
Bene, anzi male perché ci è sembrato di ritornare indietro di oltre 15 anni, quando gli avvocati di Francesco Schiavone, detto Sandokan, obbligarono la casa editrice Einaudi a ritirare dalle librerie il testo di Nanni Balestrini “Sandokan, storia di camorra” perché ritenuto un lavoro che avrebbe potuto condizionare il processo in corso. Passano gli anni ma i pericoli per la libertà di stampa da queste parti restano invariati. Eppure non si tratta dell’unica notizia del genere perché, rimanendo proprio in zona Caserta, annotiamo la chiusura del mensile Fresco di Stampa probabilmente l’unica testata di questa provincia che in sei anni è riuscita ad essere veramente libera provando ad analizzare i fatti di un territorio tutt’altro che libero nonostante il tanto acclamato “Modello Caserta” dall’ormai ex ministro degli Interni Maroni. Certo, quando un’impresa va male bisogna innanzitutto ricercare le colpe di chi l’ha gestita, ma questa testata in “un lustro è passata da free press a magazine, da tabloid a rivista mensile patinata giungendo anche nelle edicole della zona nord di Napoli”. Le parole dell’ultimo editoriale firmato dal direttore Ignazio Riccio e dal suo vice Paolo Graziano sono chiare, il loro lavoro giornalistico, “oltre all’investimento degli editori, non ha trovato il sostegno da parte del tessuto economico del territorio lacerato dalla crisi finanziaria e inquinato dalla concorrenza sleale e poco qualificata”. La libertà di stampa da queste parti è minata sia dalle azioni militari dei clan, che non gradiscono la veicolazione di alcune notizie, sia da un’economia sporca e illecita. Ma questi, ovviamente, non sono gli unici pericoli per la professione quotidianamente attaccata da chi invece non è camorrista che, però, allo stesso modo non gradisce che si dia veramente luogo al lavoro giornalistico. Dai politici alle realtà del terzo settore, perché qui anche un semplice reportage può mettere in crisi la credibilità di un’associazione di chissà chi, un partito trasversale che, in silenzio, ogni giorno lotta contro l’affermazione dell’articolo 21 della nostra Costituzione.
Bene, anzi male perché ci è sembrato di ritornare indietro di oltre 15 anni, quando gli avvocati di Francesco Schiavone, detto Sandokan, obbligarono la casa editrice Einaudi a ritirare dalle librerie il testo di Nanni Balestrini “Sandokan, storia di camorra” perché ritenuto un lavoro che avrebbe potuto condizionare il processo in corso. Passano gli anni ma i pericoli per la libertà di stampa da queste parti restano invariati. Eppure non si tratta dell’unica notizia del genere perché, rimanendo proprio in zona Caserta, annotiamo la chiusura del mensile Fresco di Stampa probabilmente l’unica testata di questa provincia che in sei anni è riuscita ad essere veramente libera provando ad analizzare i fatti di un territorio tutt’altro che libero nonostante il tanto acclamato “Modello Caserta” dall’ormai ex ministro degli Interni Maroni. Certo, quando un’impresa va male bisogna innanzitutto ricercare le colpe di chi l’ha gestita, ma questa testata in “un lustro è passata da free press a magazine, da tabloid a rivista mensile patinata giungendo anche nelle edicole della zona nord di Napoli”. Le parole dell’ultimo editoriale firmato dal direttore Ignazio Riccio e dal suo vice Paolo Graziano sono chiare, il loro lavoro giornalistico, “oltre all’investimento degli editori, non ha trovato il sostegno da parte del tessuto economico del territorio lacerato dalla crisi finanziaria e inquinato dalla concorrenza sleale e poco qualificata”. La libertà di stampa da queste parti è minata sia dalle azioni militari dei clan, che non gradiscono la veicolazione di alcune notizie, sia da un’economia sporca e illecita. Ma questi, ovviamente, non sono gli unici pericoli per la professione quotidianamente attaccata da chi invece non è camorrista che, però, allo stesso modo non gradisce che si dia veramente luogo al lavoro giornalistico. Dai politici alle realtà del terzo settore, perché qui anche un semplice reportage può mettere in crisi la credibilità di un’associazione di chissà chi, un partito trasversale che, in silenzio, ogni giorno lotta contro l’affermazione dell’articolo 21 della nostra Costituzione.
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