di Elisabetta Reguitti*
Soltanto in questo mese i morti sono stati 19 (rispetto ai 20 dell’ anno scorso). L’ultima vittima: un operaio di 33 anni schiacciato sotto un muletto a Campi Bisenzio, in una ditta per la lavorazione di marmi. Di lui non si conosce neppure il nome. Si sa solo che era nato in Senegal. In Italia si continua dunque a morire di lavoro, a volte anche nell’anonimato. Due righe di cronaca nera e la pratica si chiude. L’ultima volta che si era parlato di sicurezza sul lavoro con inchieste, grandi titoli sui giornali e commenti politici, era stato per la Thyssen Krupp di Torino. Mesi dopo per la Umbria Olii. Davanti al grande evento sono in tanti a occuparsi delle vittime della guerra del lavoro. Più difficile, invece, farlo nella normalità dello stillicidio quotidiano che trova spazio a mala pena nei giornali locali. Persino ricostruire i numeri è un rebus. Tra le tabelle pubblicate per esempio sul sito dell’Anmil (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro) e il contatore del sito dell’associazione Articolo 21 ci sono differenze rilevanti. Bisogna incrociare i dati forniti dalle Asl, quelli dell’Inail, i nomi recuperati dalle rassegne stampa. E poi ci sono i lavoratori in nero che non denunciano neppure l’infortunio e chi muore di malattie professionali, o per gli incidenti “in i t i n e re ” (casa-lavoro) e i decessi che avvengono settimane dopo l’incidente. Le morti di queste persone, di solito, diventano “notizie bianche”. E non finiscono neanche nelle statistiche. Un esempio: il 6 di agosto sono decedute ben sette persone che erano ricoverate in ospedale da giorni, alcune da settimane. Sempre ad agosto, le aziende, che non hanno chiuso per la crisi fanno soltanto lavori di straordinaria amministrazione: verifiche a macchinari, sistemazione di tetti, coperture, impianti elettrici. Lavori spesso assegnati a imprese molto piccole, pagate in grigio e che magari fanno lavorare in nero. E i rischi aumentano. Cesare Damiano, quando era ministro del Lavoro, aveva almeno provato ad arginare il problema cercando di varare il Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Ma poi il governo Berlusconi ha allentato alcune delle norme sulla sicurezza: sono diminuite le sanzioni pecuniarie e penali, c’è stata una sostanziale deresponsabilizzazione delle imprese, un aumento delle funzioni agli enti bilaterali (organismi paritetici che nascono dall’ accordo tra associazioni di categoria e organizzazioni sindacali) che hanno ora un ruolo (improprio) di certificazione. Oltre a questo, “il vero meccanismo da combattere è quello degli appalti al ribasso. Chi se li aggiudica, per rientrare nei costi concordati, finisce con il pagare il lavoratore in nero o eludere le norme sulla sicurezza”, commenta Damiano, autore di una proposta di legge con la quale si chiede che vengano scorporati, dal costo dell’appalto, quelli relativi alla retribuzione contrattuale e degli oneri per la sicurezza.
* da Il Fatto Quotidiano
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