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Quel che resta di... Rai
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di Fernando Cancedda

Quel che resta di... Rai

"Non riesco a capire perche' faccia notizia la frana degli ascolti del Tg1”, scrive su Articolo 21 Nino Rizzo Nervo, consigliere d'amministrazione in disarmo della RAI, e spiega: “da tempo immemorabile denuncio la situazione disastrosa in cui versa quella che una volta era la testata 'ammiraglia' della televisione italiana, pubblica e privata, ormai sull'orlo di una crisi senza ritorno”.
Difficile dargli torto. Ma poi aggiunge: “Sinora il vertice della Rai si e' cucito gli occhi, tuttavia spero ancora in un sussulto di dignita' e orgoglio aziendali”. Quale sussulto ? Non si è accorto Rizzo Nervo che la direzione generale e la maggioranza di questo consiglio di amministrazione lavorano da tempo “per il re di Prussia”? Altro che occhi cuciti! Sono troppi gli indizi di un autolesionismo aziendale decisamente doloso. Che si attenda un rinvio a giudizio per peculato per rimediare alla scelta infelice di un direttore è semplicemente pazzesco.
“Riprendiamoci la RAI” è stato lo slogan lanciato dal sindacato mesi fa. Aspettiamo ancora un po' e non ci sarà nulla da recuperare. Primo e secondo canale non si distinguono quasi più dalle tv commerciali di Mediaset. La terza rete viene irresponsabilmente ceduta, pezzo per pezzo ad altro concorrente. Se si escludono il tg3, Ballarò e le inchieste di Report, per avere un'informazione decente di “servizio pubblico” bisognerà accontentarsi delle trasmissioni pirata di Santoro sulla rete o sul digitale.
Come se non bastasse, si parla ancora di tagli. E se l'allarme viene dalla segreteria Usigrai si può essere certi che la minaccia non riguarda lo spreco di denaro pubblico in corso da anni nel settore degli appalti di rete o delle nomine clientelari. Per quanto povero di dettagli concreti, il documento di Carlo Verna, Daniela De Robert e Vittorio Di Trapani si riferisce piuttosto ad altre incursioni nel reparto informazione. Eccolo per intero:
“Se gli esiti dell'atto di indirizzo sono già scritti, sarà sciopero e conflitto. Se invece – come speriamo – sarà possibile spiegare e confrontarsi in un incontro urgente allora sarà possibile metter su un fruttuoso tavolo di concertazione. Una cosa è riformare (cosa indispensabile), un'altra è tagliare selvaggiamente.
“La logica emergenziale – prosegue il testo della dichiarazione – porta con sé rischi enormi di rimedi peggiori del male. Dunque, non è accettabile quando si parla di un'azienda che ha svolto una storica funzione democratica nel Paese e quando tale logica ispira un vertice ormai in scadenza, che perdipiù fino a pochi giorni fa ha avallato la nomina di condirettori a Gr Parlamento e a Rai Parlamento, mentre il sindacato proponeva accorpamenti.
“Pertanto – conclude il documento – il primo presupposto del confronto è la coerenza. Non accetteremo tagli al prodotto. Men che meno mentre proseguono sperperi altrove. Il sindacato è pronto ad accettare la sfida del cambiamento a condizione che sia fondata sul rilancio dell'azienda e non su miopi tagli che cancellano patrimoni del Servizio pubblico”.
“Ovviamente nessuno chiede uno spoil system per la Rai – osserva anche Ezio Mauro nell'edizione on line di Repubblica - L’obbiettivo rimane liberare la Rai dai partiti e restituirle in qualche modo la funzione di servizio pubblico nell’interesse dei cittadini. Ma intanto c’è una Rai armata, al servizio del potere della destra italiana quando questa era onnipotente. Bisognerebbe almeno disarmarla, metterla nella condizione di fare il suo lavoro in modo neutrale, in attesa di poterla liberare dal peso dei partiti”.
L'appello non è nuovo, rischia anzi di apparire stantio. Contare soltanto su una reazione efficace dell'opinione pubblica può rivelarsi illusorio. Salgo anch'io con entusiasmo sul treno dei cinque punti indicati da Beppe Giulietti. Ma l'Italia è una stazione piena di treni in partenza che aspettano il via. Articolo 21, Usigrai e quanti altri convengono sulla necessità di salvare quel che resta di RAI debbono trovare subito il modo di mettere chi ha il potere di decidere sulla governance dell'azienda (gruppi parlamentari, commissione di vigilanza, autorità delle comunicazioni, governo) di fronte alle proprie responsabilità.

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