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Articolo 21 - ECONOMIA
Il trilemma dell'Unione europea
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di Giuliano Garavini

Il trilemma dell'Unione europea

Nel suo ultimo bel libro sui paradossi della globalizzazione,   l’economista di Harvard Dani Rodrik descrive in questo modo il trilemma che si trova ad affrontare l’economia mondiale: democrazia,   sovranità nazionale e globalizzazione economica sono obiettivi che   possono essere perseguiti solo a coppie.  Dice Rodrik che se si vuole perseguire l’iperglobalizzazione economica   e mantenere la sovranità nazionale, bisogna rinunciare ad elementi   sostanziali di democrazia. Se si vuole salvare la globalizzazione e   garantire allo stesso la possibilità di scelte democratiche, bisogna   rinunciare alla centralità della nazione in favore di autorità   democratiche globali. Se invece si intende salvare lo Stato nazione e   la democrazie politica, allora bisogna rinunciare   all’iperglobalizzazione e limitarne l’azione in alcuni settori.  

Quest’ultima scelta, in considerazione della diversità delle   preferenze sociali e culturali fra i popoli del mondo che   impedirebbero una vera e propria democrazia globale, è la soluzione   preferita da Dani Rodrik.  Il trilemma descritto qui sopra, applicato a quell’esempio di sistema   economico regionale e sopranazionale per eccellenza che è l’Unione   europea, spiega al meglio le diverse alternative che si presentano   oggi ai cittadini europei. Anche nell’Unione europea, Stati nazionali,   democrazia politica e Mercato unico imperniato sull’euro, non possono   essere perseguiti tutti e tre allo stesso tempo, ma solo a coppie. 
Se infatti si vuole salvare il Mercato unico (e con esso l’euro) e   allo stesso tempo la sovranità nazionale bisogna rinunciare a quote   significative di democrazia politica. Rodrik chiama questa opzione   quella della “regola aurea”: un meccanismo in cui per sopravvivere i   governi nazionali dovrebbero perseguire solo politiche adatte ad   attrarre capitali e a godere della fiducia dei mercati, e dunque gli   ambiti delle scelte democratiche sarebbero estremamente limitati. 
Se, al contrario, si vogliono mantenere partecipazione democratica e   Stati nazionali bisogna rinunciare all’euro e al Mercato unico e   ritornare al tempo del “Mercato comune” – al modello di integrazione   europea esistente fino metà degli anni ’80 – in cui non vi era piena   libertà di movimento dei capitali e gli Stati potevano proteggere, in   caso anche legiferando in autonomia, le caratteristiche essenziali dei   propri compromessi sociali e dei servizi pubblici.   Se, in ultimo, l’obiettivo è quello di preservare l’euro e allo stesso   tempo la democrazia partecipativa, bisogna necessariamente sacrificare   quote sostanziali di sovranità nazionale.

Occorre cioè creare un   governo democratico e federale dell’economia che possa legiferare in   materia di politica economica e non solo.  L’illusione che questo trilemma in realtà non esista sta facendo   prevalere nei fatti la prima opzione. Deve essere chiare che il   percorso tracciato da Merkel e Sarkozy il 9 dicembre a Bruxelles, e   appoggiato dall’attuale governo italiano, va esattamente nella   direzione di ridurre, fino a renderli inconsistenti, i margini delle   scelte democratiche. Norme di bilancio rigide, decise attraverso   accordi intergovernatativi e gestite da entità sovranazionali come la   Corte di giustizia di Lussemburgo (Maastricht 2), diventeranno tavole   delle legge sulle quale nessun potere democratico potrà incidere. Gli   stessi trattati intergovernativi prevederanno modifiche della   Costituzione – in primo luogo quella del pareggio del bilancio –   avverando l’impensabile di accordi fra governi che modificano il patto   sul quale si fonda il rapporto fra Stato e cittadini.

Sul mercato del   lavoro, la tassazione, le privatizzazioni, i popoli europei dovranno   accettare che i governi europei mettano semplicemente lo stampino a   quanto loro richiesto da organismi non eletti come la Commissione   europea e la Banca centrale o del tutto imperscrutabili come i mercati.  Di fronte a tutto ciò occorrono massicce mobilitazioni sociali che   siano in grado di bloccare questo processo e la più larga alleanza   possibile fra le forze politiche, intellettuali e sociali di tutti i   paesi europei. Tale sussulto di dignità e partecipazione non potrà   prescindere da una dura opposizione al governo di Mercozy e Monti e   dovrà mirare a far prevalere, contro ogni tentazione autarchica,   l’opzione della salvaguardia dell’euro e allo stesso tempo dello   spostamento a livello europeo di alcune scelte democratiche, con la   creazione di un governo federale dell’economia. Questo governo dovrà   legiferare sulle politiche di bilancio, sul fisco e sugli standard del   lavorativi, ma dovrà anche promuovere una salvaguardia dei beni comuni   europei contro la loro progressiva privatizzazione e il loro svilimento.


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