di Mirko Conte
Tradotto in parole povere, la Rai sceglie di rinunciare a una programmazione specifica per gli italiani all'estero, cioè a uno degli spazi ancora residui di autentico servizio pubblico. Lo fa, naturalmente, penalizzando chi è lontano e poco può fare per protestare. Lo fa in piena coerenza con una linea editoriale e politica che vuole abdicare, proprio nell'era della società globale, a una presenza internazionale forte e autorevole del nostro Paese. Si chiude Rai Internazionale, si tagliano drasticamente le sedi di corrispondenza all'estero, si cancella Rai Med. La Rai diventa specchio di un paese che non solo ha perso peso e prestigio nei suoi rapporti con il resto del mondo, ma che anche rinuncia a risalire la china. L'estero è il peso, il di più di cui si può fare a meno. Un vuoto che, naturalmente, Mediaset è pronta a riempire. 4 milioni di elettori italiani all'estero sono un bacino di cui il servizio pubblico si può dimenticare, ma non le televisioni di Berlusconi, che sentitamente ringraziano.
Per chi da molti anni lavora a Rai Internazionale (140 dipendenti tra giornalisti, programmisti registi, tecnici, personale amministrativo), l'amarezza di dover far fronte a una ricollocazione all'interno dell'azienda è di gran lunga inferiore a quella che deriva da questa semplice constatazione: un Paese che decide di tagliare i servizi per i suoi connazionali all'estero, un Paese che rinuncia a far circolare quell'informazione "di ritorno" che racconta la vita, le storie, le attività, i successi e i problemi di milioni di italiani che vivono lontani dall'Italia, è un Paese incapace di difendere la sua memoria storica e il suo presente oltreconfine. Un Paese che perde se stesso e che, per il prossimo futuro, annuncia al mondo la sua resa: l'Italia, dagli scenari internazionali su cui si giocano le partite più importanti del nostro avvenire, si ritira.
Se si scorre rapidamente l'elenco dei paesi che hanno una rete radio e/o televisiva pubblica con una programmazione specifica dedicata all'estero, l'assenza dell'Italia non può che destare scandalo e indignazione: Pakistan, Giappone, Cile, Turchia, Russia, Venezuela, Australia, Olanda, Spagna, Repubblica Ceca, Slovacchia, Taiwan, Marocco, Indonesia, Israele, Malesia, Mongolia, Filippine, Nigeria, Tunisia, Corea del Nord, Corea del Sud, Azerbaijan, Belgio, Grecia, Gran Bretagna, Francia, Austria, Germania, Portogallo, Canada, Iran, Cina, Polonia, Serbia, Svezia, Svizzera, Ucraina, Argentina, Brasile, USA, Nuova Zelanda, Bosnia Erzegovina, Finlandia, Cuba, Brunei, Myanmar. Evidentemente, per il Consiglio di Amministrazione della Rai e per il direttore generale Lorenza Lei, l'Italia ha meno cose da dire al mondo, via radio o via televisione, di quante ne abbia il Brunei. E meno connazionali all'estero da raggiungere di quanti ne abbiano l'Austria o la Nuova Zelanda.
Che di tutto questo si prenda atto nel crepuscolo dell'anno in cui il 150° anniversario dell'Unità nazionale è stato celebrato in pompa magna è, forse, solo un ulteriore segno dei tempi.
Sedi estere Rai, un appello dall'Africa subsahariana / Una decisione che va rivista- di Mario Raffaelli* / Un riflettore sulle crisi dimenticate rischia di essere spento- di Medici Senza Frontiere / Chiusura sedi Rai estere? Un grave danno per la cultura e l'informazione- di Giuseppe Caramazza*/ C'era una volta Radio Londra...- di Maurizio Del Bufalo* / Perchè rinunciare al nostro punto di vista?- di Vincenzo Cavallo*
Appello alla RAI: Non chiudete quelle sedi!