di Adriano Donaggio
Una cosa è certa. I Beni culturali sono una delle maggiori attrazioni che portano soldi e turismo al nostro Paese. Prendiamo il caso di Venezia. Nel 2011 ha registrato venti milioni di visitatori. La metà di questi si è fermata per più di un giorno. Quello che è interessante notare è che oltre alla sua unicità fisica, oltre allo straordinario patrimonio storico, una parte non del tutto irrilevante di queste presenze è attirata dalle istituzioni che propongono un confronto con l’ arte contemporanea. Quest’ anno la Biennale di Arti Visive è stata visitata da 460.000 persone, la collezione Peggy Guggenheim da 400.000. A questi andrebbero aggiunti i visitatori di Palazzo Grassi e della Punta della Dogana, del Museo Fortuny, delle mostre organizzate dall’ Istituto Veneto delle Scienze e delle Arti, dalla Bevilacqua La Masa, dalla Fondazione Giorgio Cini, dai Musei civici veneziani.
Quello che è interessante notare è che anche in un centro storico così fortemente connotato come Venezia, l’ arte contemporanea, la lettura della contemporaneità ha una forte capacità di attrazione. Questo spiega, in parte, il dibattito acceso cui abbiamo assistito in queste ultime settimane o, in questi ultimi mesi, sulle persone che devono dirigere questi centri di vitalità e di attrazione. Oggi la Festa del Cinema di Roma, fino all’ altro ieri le polemiche sulla nomina del Presidente dellaBiennale di Venezia. Problema risoltosi anche per il contributo decisivo, in una votazione alla Camera che si annunciava ed era incerta, dato dal Portavoce di Articolo 21, Giuseppe Giulietti. La discussione, sempre salutare, era particolarmente importante e doverosa per la Presidenza della Biennale Istituzione che ha una tradizione, per quel che riguarda i suoi vertici, di personalità di grande qualità succedutesi nel tempo con stili e talenti diversi offrendo una molteplicità di contributi che, tutti insieme, ne hanno rafforzato l’ importanza, definito il ruolo, l’ importanza.
Naturalmente tutti sanno che una volta nominati i vertici di un’ istituzione la discussione non si chiude. Non c’ è niente di più triste di una nomina che viene chiusa dentro un sarcofago. Un ente é vivo e vitale se attorno si svolge un dialogo, un dibattito, una discussione che permette di andare avanti, per usare il titolo di un ciclo di opere di Emilio Vedova di andare “Oltre”. Chi vive nel mondo della cultura sa bene che un risultato raggiunto è solo un punto di partenza. Questi Enti, le persone che li governano non sono delle monadi, dipendono anche e molto dalla società che li circonda, dalle domande che questa riesce a porre, dalla capacità di sollecitare risposte sempre nuove a vecchi problemi, dalla sua capacità di porre domande esigenti.
Naturalmente una società che vuole esprimere questo deve essere anche consapevole della storia dell’ Ente di cui parla. Insegnava la vecchia geometria: per un punto passano infinite rette, per due punti una e una sola. La storia, la consapevolezza del proprio passato permettono di capire megliola direzione, di far tesoro dei contributi che si sono succeduti nel tempo.
Con la formalizzazione della nomina di Paolo Baratta a Presidente della Biennale si è concluso un dibattito che ha avuto punte polemiche appuntite e un dibattito tutt’ altro che dimesso.
Non sempre, nella storia più che centenaria della Biennale, la figura del Presidente è stata la figura centrale. Comprensibilmente. Per tanta parte della vita dell’ ente il Presidente è stato il Sindaco della città o una personalità politica. In questo caso Il vero motore, fatta eccezione per la presidenza del conte Giovanni Volpi di Misurata, dell’ Ente fu il Segretario Generale.
La figura del Presidente si afferma nel 1973 quando viene riformato lo statuto che risaliva ai tempi del fascismo. Il primo Presidente della Biennale rinnovata, fu Carlo Ripa di Meana. Segnò una rottura netta con il passato, dapprima con le manifestazioni di Libertà al Cile, la netta presa di posizione contro il Comune che voleva abbattere i Magazzini del Sale, sulle Zattere, verso Punta della Dogana, per farne una piscina comunale.
Meana diede alla Biennale molte cose e, forse, in quegli anni, il meglio di sè. La scelta delle Persone: un giovane Luca Ronconi per il Festival del Teatro (che ereditò, rilanciò e affermò una tradizione straordinaria che lo aveva preceduto con una sezione primaverile dedicata al teatro d’ avanguardia e di sperimentazione e, in parallelo, un festival del Teatro per Ragazzi. Del resto già nel 1970 la didattica e il rapporto con i giovani studenti aveva accompagnato la Biennale di Arti visive) E, ancora, Vittorio Gregotti direttore del Settore Arti visive, con una prima apertura ad Architettura. Meana aveva un senso e una padronanza dei rapporti internazionali che non ho più visto in altri. Parlava fluentemente inglese, francese, tedesco. Prese casa a Venezia, e con la città aveva un rapporto reale, con le porte sempre aperte. Portò a Venezia le figure più importanti della cultura internazionale della seconda metà del Novecento.
Dopo la Presidenza di Giuseppe Galasso, di assoluto rilievo fu la Presidenza di Paolo Portoghesi (1984/1992). A lui si deve la creazione e il consolidamento del Settore Architettura. Fu lui a capire l’ importanza dell’ Arsenale, ad ottenere la concessione delle Corderie con la consapevolezza che quello era un punto di partenza.
Quando Portoghesi divenne Presidente, la Mostra del Cinema non aveva altro che la cosiddetta sala grande, i duecento posti della sala Volpi, e, sul retro, un’ arena scoperta, dove, la sera, quando non pioveva, venivano proiettati i film in concorso per il pubblico normale. Non fece mai una polemica, un discorso retorico. Trovò lo sponsor, fece preparare un progetto e creò lo spazio che oggi va sotto il nome di Paladarsena. Nel contempo cominciò ad aggredire gli spazi del Casinò, allora lì funzionante, creando spazi per uffici, la sala stampa, una prima sala di proiezione per i giornalisti. I suoi interventi sul piano culturale erano sempre di estremo interesse, ascoltati con attenzione per la qualità dell’ intelligenza, l’ originalità e la finezza dell’ elaborazione intellettuale.
Gli successe Rondi, un uomo la cui storia, per certi aspetti, coincide con la storia del cinema, la cui presenza in Biennale meriterebbe un capitolo a parte, come un capitolo a parte meritano i Presidenti che si sono succeduti dopo la riforma del 1998. La Biennale ha avuto la fortuna di avere tra i suoi presidenti molti personaggi di grande rilievo e di sicuro fascino che richiedono una lettura tridimensionale e non oleografica. Credo che nella storia della Biennale che sto scrivendo, quelli di un tempo e quelli di oggi, troveranno lo spazio che meritano. La Biennale viene da lontano e andrà lontano.