di Federico Orlando
Il presidente Monti, che ieri ha avuto un lungo colloquio con Berlusconi, oggi ne ha avrà un secondo con Bersani, perché entrambi sostengono il suo governo. Quanto alle cose che si son detti e che si diranno, credo che Monti non sia persona disponibile ad affrontare riforme come quelle della giustizia e della Rai per favorire gli interessi personali di qualcuno, come è avvenuto nei vent'anni dell'era berlusconiana. Non so nemmeno se le notizie del "retroscena", una delle forme più devastanti del nostro antigiornalismo (lo chiamo così perché il giornalismo è informazione e non retroscena), siano esatte, o parzialmente inventate, intuite, dedotte. A me, per esempio, risultano altre cose, specie in tema di monopolio Rai-Mediaset: se ne hanno discusso, il vero problema prospettato da Berlusconi al presidente del consiglio è quello delle nuove frequenze, che il Cavaliere, proseguendo nella sua immutata linea affaristica dai governi del Caf (legge Mammì) a oggi, vuole prendersi senza pagare un euro. Mentre ben sappiamo che mettendo all'asta quelle frequenze, come chiede il Pd, lo stato italiano che sta spremendo pensionati e lavoratori per risanare le finanze, incasserebbe non meno di 4 miliardi di euro. A maggio scadrà il termine per eventuali aste, e il tempo per riformare le precedenti decisioni del ministro Romani a favore del suo leader-padrone potrebbero "prescriversi", con l'ausilio di un bel manipolo di avvocati sofisti. Quanto alla governance, è vero che a Berlusconi converrebbe che tutto restasse come è oggi: un consiglio d'amministrazione di nomina politica, con maggioranza di destra e mionoranza di opposizione; un direttore generale nominato dal governo; direttori di rete e di testate nominati dal direttore generale su indicazioni del governo; editti bulgari per sanzionare l'espulsione dal servizio pubblico di giornalisti sgraditi al governo, si chiamino Biagi, Santoro o con altro nome. A marzo scade l'attuale consiglio d'amministrazione e Monti sembra intenzionato a sostituire il direttore generale con un amministratore delegato, che avrebbe poteri oggi del dg e del cda, cioè dei partiti. Ma al Cavaliere, che è uomo pratico, come lei dice, basterebbe che Monti gli desse gratis le frequenze, come aveva disposto, ripeto, Romani, tardo epigono di Mammì; e concordasse la nomina dell'amministatore delegato; e magari s'impegnasse (acqua in bocca) a non richiamare in Rai giornalisti sgraditi. E' vero che rimarrebbe senza posto l'attuale dg Lei, ma le pare che con gli appoggi clericali e berlusconiani la dottoressa Lei, che ha anche "sue" capacità professionali, resterebbe senza posto? Se ne troverebbe subito un altro, in cui potrebbe dimostrarle, e magari essere utile anche a Berlusconi. Più che di governance, perciò, il problema a me sembra di cultura della comunicazione. Per esempio, il giornalismo, non solo televiso, anche stampato, non dovrebbe scivolare dalle vecchie sudditanze ai governi politici nel coro piuttosto uniforme per i governanti tecnici. Così, tanto per ricordare ai cittadini che democrazia significa pluralismo. Questioni di moderazione, dal punto di vista estetico, e di contenuti, dal punto di vista della sostanza.