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Cambiare la Costituzione?
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di Antonio D'Andrea*

Cambiare la Costituzione?

Dopo aver casualmente ascoltato la farneticante orazione dell’on. Berlusconi in occasione della recente assise del suo partito, mi sono chiesto se la sconcertante rappresentazione dell’assetto organizzativo della nostra Repubblica, da lui offerta all’uditorio, potesse essere condivisa, sia pure solo in parte, dagli spettatori della sua performance e dai più accreditati maître à penser che spingono per modificare in profondità la Carta costituzionale. In verità, si è trattato della riproposizione di affermazioni ossessivamente ripetute nella loro imbarazzante approssimazione da circa vent’anni e degne non tanto di un politico di lungo corso, che ha guidato il Governo nazionale per ben quattro volte, ma piuttosto di un disinibito avventore di un qualsiasi “Bar dello sport” della provincia italiana, il quale, avendo orecchiato frequenti critiche al nostro sistema costituzionale, le “socializza” per come può, tra divertimento e saccenteria, tra una partita a carte e qualche generosa bevuta.
Del resto, la cultura costituzionale e la stessa sensibilità democratica sono state, nell’era del “berlusconismo” e della speciale formazione per via televisiva della pubblica opinione, disinvoltamente indirizzate a denigrare l’attuale quadro costituzionale. E ciò, va ammesso, anche avvalendosi di analisi meno rozze di quelle prescelte dall’on. Berlusconi, il quale rappresenta ancora sul piano politico la punta più avanzata del fronte “antagonista” rispetto alla parte ordinamentale del vigente testo costituzionale. In tale contesto di sfavore per il quadro costituzionale, che non pare mutato neanche dopo la caduta di Berlusconi e la nascita del Governo Monti, le parole pronunciate dal leader della principale forza parlamentare, che è parte integrante della nuova maggioranza, temo siano state in grado di offrire qualche ulteriore suggestione alle forze politiche che insieme al PDL sostengono lo “strano” governo tecnico e che progettano di rammodernare in questo scorcio finale di legislatura l’edificio costituzionale così da sublimare con una “riforma necessaria” l’intesa bipartisan che ha reso possibile la formazione del Governo Monti e la “salvezza” dell’Italia. Ed ecco la “mirabile” sintesi berlusconiana sullo stato penoso nel quale verserebbe la nostra organizzazione costituzionale e che perciò renderebbe indifferibile l’agognata riforma ordinamentale così da consentire il riallineamento delle istituzioni italiane a standard democratici accettabili. Oggi in Italia, secondo la vulgata berlusconiana, il Governo sarebbe prigioniero del Parlamento, organo capace di paralizzare qualsiasi iniziativa dell’Esecutivo (e i voti di fiducia, le deleghe legislative, i decreti legge?); le Camere sarebbero lente e capricciose nel decidere, l’una inutile doppione dell’altra (e i rapidissimi voti parlamentari su molte discutibili leggi ad personam?); il Capo dello Stato sarebbe in grado di frenare discrezionalmente i decreti governativi e le norme che “non gli piacciono” (su quanto non hanno fatto Ciampi e Napolitano rispetto alle illegittime iniziative dei Governi Berlusconi esiste un’ampia letteratura); i pubblici ministeri di Magistratura democratica sarebbero ostili pregiudizialmente alle scelte legislative promosse da una maggioranza di centrodestra e sempre nelle condizioni di impugnare le norme che dovrebbero applicare e che, viceversa, “spediscono” alla Corte costituzionale (basta ricordare, a questo proposito, che non sono i pubblici ministeri a rimettere la questione di costituzionalità alla Corte, potendo sollevare solo una eccezione di incostituzionalità nei processi nei quali sono parti necessarie); la Consulta sarebbe composta in modo da avere una maggioranza di sinistra al suo interno – undici a quattro – in grado pertanto di annullare con facilità leggi espressione di politiche liberali così fortemente volute dalla maggioranza del corpo elettorale, almeno da quando egli è “sceso in campo” (sul ruolo svolto dalla Corte e sul profilo dei singoli giudici le teorie di Berlusconi, esplicitate e da lui certamente praticate,  appaiono  prima facie agghiaccianti).
Il punto di arrivo di tutto il ragionamento berlusconiano è che, grazie alla Costituzione vigente, la “cultura di sinistra” riesce a insinuarsi nelle istituzioni e, pur essendo di fatto una minoranza politica nel Paese, impedisce alle politiche liberali di affermarsi e, nel caso specifico, ha impedito a lui stesso di ben governare.
Non mi pare necessario confutare oltre la distorta rappresentazione della realtà istituzionale italiana e neppure è utile mettere ulteriormente a fuoco la scarsa conoscenza dei meccanismi costituzionali, anche non nazionali, che probabilmente induce l’on. Berlusconi a desiderare per il nostro Paese un nuovo assetto organizzativo ritagliato sulle esigenze dell’organo titolare del potere di governo. È però indispensabile ricordare, più in generale, che nelle sperimentate democrazie occidentali governare non significa comandare in esclusiva e senza intralci. La funzione di governo è solo una delle funzioni che sono riconducibili allo Stato e che sono distribuite tra organi distinti che in nessun caso possono essere fagocitati dal volere della sola maggioranza di governo. Il Parlamento e la Magistratura, specie quella costituzionale, restano del tutto separati da chi esercita specifici poteri di governo quale che sia l’assetto organizzativo prescelto, naturalmente se si resta in un contesto schiettamente democratico.
Resta da chiedersi se la visione istituzionale di cui si fa interprete l’on. Berlusconi possa contribuire a precisare l’obiettivo delle “riforme necessarie” al nostro ordinamento costituzionale.
La speranza è che il buon senso possa impedire alle attuali forze politiche, deboli e squalificate, svolte autoritarie, improvvidamente suggerite dai loro ripetuti, innegabili fallimenti e, da ultimo, alimentate dalle ingannevoli sirene rappresentate dall’equilibrio economico-finanziario richiestoci dalle autorità monetarie e dai più forti partner europei. Inoltre, è auspicabile che la larga ma “sgangherata” maggioranza parlamentare che sostiene il Governo Monti, si limiti a fare l’unica riforma davvero indispensabile per fornire ossigeno vitale alla nostra organizzazione costituzionale, vale a dire cambiare la legge elettorale vigente. Una nuova legge elettorale (eventualmente anche da copiare integralmente da un qualsiasi altro Paese delle dimensioni del Nostro, possibilmente europeo, e senza l’uso di alambicchi da fattucchiere pasticcione) che consenta di avere tra poco più di un anno un Parlamento normale, cioè eletto, dal quale possa nascere un sano e semplice governo politico, determinato nel perseguire e realizzare i suoi indirizzi (di destra o di sinistra che siano), ma dentro i limiti costituzionali che il suo agire incontra. Di riforme costituzionali utili e necessarie si torni a parlare, sperabilmente con cognizione di causa, solo dopo aver garantito il rinnovo integrale dell’attuale rappresentanza parlamentare, la cui uscita di scena è, a mio avviso, condizione preliminare a qualsiasi seria discussione sul punto.

* Giurista e Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico alla Facoltà di Giurisprudenza della Università statale di Brescia


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