di Antonio Turri*
Latina Il tragico assassinio di Massimiliano Moro, avvenuto la sera del 25 gennaio scorso, nella sua abitazione a Latina, con due colpi di pistola alla testa, cosi come i tentati omicidi di Carmine Ciarelli e Paolo Celani, consumatisi in tipico stile mafioso, il primo alcune ore prima, il secondo alcuni giorni fa, sono la conferma della peculiarità della provincia di Latina e più in generale della regione Lazio in materia di legalità e contrasto alla criminalità ed alle mafie. Questa peculiarità è dovuta alla modalità con cui queste cicliche mattanze sono consumate nella più totale indifferenza di gran parte della classe politica e dei grandi media nazionali che, per la probabile vicinanza a Roma di questi territori, sottovalutano personaggi coinvolti e delitti consumati. E' come se si volessero esorcizzare gli spettri della endemica presenza della criminalità organizzata e delle mafie nella Capitale e nel Lazio. E' divenuta prassi negare il coinvolgimento di strati della classe dirigente in vicende che paiono più allocabili a Palermo o a Casal di Principe, piuttosto che nelle provincie di Latina, Frosinone e Roma.
E' dalla fine degli anni ottanta che si sottovalutano, in buona o cattiva fede, tutta una serie di segnali e di misfatti per i quali sarebbe necessaria una intera enciclopedia del crimine per analizzare modus operandi e finalità di episodi delinquenziali che paiono scollegati, ma che sono, anche a distanza di anni, riconducibili ad una sola logica: il controllo del territorio nel Lazio, una delle regioni più appetibili del Paese per gli ovvi e innegabili motivi rappresentati dai mercati criminali e del riciclo del denaro a Roma e provincie limitrofe. E' chiaramente più conveniente, per qualsiasi clan, organizzare il traffico e lo spaccio di droghe o il mercato dell'usura a Roma o Milano o a Rimini, piuttosto che a Mondragone. E' sicuramente più redditizio reinvestire i capitali sporchi a Terracina, a Fondi o ai Parioli di Roma che a Platì o a Corleone. E' la logica del denaro e degli affari che vale in particolare per chi ha tanti soldi e oggi, come non mai, le mafie né hanno una infinità.
E allora chi ha il compito di organizzare e gestire i traffici illeciti per conto delle mafie e per conto dei colletti bianchi non può permettersi il lusso di discutere o lasciar fare chi, seppur di grande spessore criminale, non è capace di sottostare alle logiche gerarchiche delle mafie e al rispetto assoluto dei capi. E allora non rimane che la via dell'intimidazione prima e dell'eliminazione fisica dopo. Quindi ciclicamente è mattanza . E' stata mattanza quella consumatasi negli anni novanta a ridosso del fiume Garigliano che è stata a base dell'omonimo processo e che ha visto comminare ergastoli a esponenti storici del clan dei casalesi e dei clan pontini alleati.
Sono state guerre di mafia quelle relative agli omicidi di Rinaldo Merluzzi e Sergio Danieli, ambedue assassinati a Latina: il primo nel 1992, all'interno del suo bar in un noto centro commerciale del capoluogo pontino; il secondo nel 1994, raggiunto, dopo un inseguimento in moto, da dodici colpi di pistola e finito con un colpo in testa sulle scale di una chiesa. Due mesi prima la morte era toccata a Raffaele Micillo massacrato con dieci colpi di pistola. Quest’ultimo era uno degli imputati nel processo al "gruppo degli uomini d' oro", accusati tre anni prima di aver compiuto rapine che avrebbero fruttato loro circa nove miliardi di lire. Di quella banda facevano parte i maggiori rappresentanti della criminalità pontina, quasi tutti assassinati con una sequenza simile a quella dei componenti la banda della magliana.
Per cui da Minturno a Roma la mattanza dei capi e gregari della criminalità organizzata locale è stata sistematica a decorrere dai primi anni ottanta sino ai giorni nostri. Dall'omicidio di Franco Giuseppucci, storico esponente della banda della magliana, avvenuto a Roma in piazza San Cosimato a Trastevere il 13 settembre 1980, passando per quelli di Renatino De Pedis,avvenuto il 2 febbraio del 1990 a Roma nello storico quartiere di Campo dei Fiori, a quello più recente di Emidio Salomone, referente della Banda della Magliana ad Ostia e sul litorale romano, avvenuto ad Acilia il 4 giugno 2009 , ucciso con due colpi di pistola in faccia da due sicari in moto. Un omicidio eseguito con le stesse modalità mafiose del suo amico e sodale Paolo Frau, avvenuto nel 2002 .
Da Latina a Roma, stessa sorte per i criminali autoctoni che non si adeguano ai nuovi equilibri e alle volontà dei capi locali o d'importazione. Centinaia di attentati incendiari negli ultimi anni dal basso Lazio sino a quartieri come Tor Bella Monaca a Roma in danno di commercianti, imprenditori e uomini delle forze dell'ordine. Da Fondi, a Terracina, a San Felice Circeo, a Nettuno fino a Civitavecchia i clan mafiosi si insediano ed investono e quando sono disturbati minacciano e sparano. Il tutto in una realtà dove un pezzo non ininfluente di classe politica da “basso impero” attacca quella parte di magistratura e di forze dell'ordine che ancora si ostina a sbarrare la strada a clan e loro referenti nelle istituzioni locali o nell'economia. Un pezzo di classe politica collusa e tuttora impunita, che rischia di rendere complice numerosi strati delle popolazioni locali che, seppur cosciente dei danni provocati, continua a farsi rappresentare nelle istituzioni elettive da “personaggi”con passati opachi e spiccata propensione al malaffare. Dopo lo scioglimento del consiglio comunale di Nettuno e quello mancato ed inspiegabile di Fondi per infiltrazioni mafiose e il trasferimento ad altro incarico del Prefetto di Latina Bruno Frattasi, chi auspicava un periodo di normalizzazione e insabbiamento del problema quinta mafia nel Lazio è stato smentito dal fuoco delle calibro 45. E purtroppo questo non potrebbe essere che l'inizio di una fase ancor più violenta ed inquietante.
*da www.liberainformazione.org
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